Arte e Intelligenza Artificiale: minaccia o falso allarme?

L’Intelligenza Artificiale non ha personalità giuridica. Questo potrebbe complicare le cose, non certo il velo d’ambiguità attorno al suo valore artistico.

Che cos’è l’arte?

Provare a disegnare un confine che circoscriva l’arte in maniera unanime, la definisca, e la smarchi definitivamente da ciò che non lo è, appartiene al mondo delle illusioni. Questo non solo perché la risposta sarebbe un ingiusto compromesso, ma perché tale compromesso verrebbe puntualmente rimesso in discussione, tanta è la velocità con cui l’idea di “arte” è soggetta a evoluzioni ed ampliamenti. Ma da un punto dobbiamo partire. Perciò, dato che si parlerà di Intelligenza Artificiale, forse è opportuno ragionare sulla creatività, cioè su un certo tipo di intelligenza umana, non necessariamente razionale, che troviamo alla base di ogni azione artistica. Per stringere ancora una volta il campo, rimarremo nel contesto delle arti visive.

Arte & AI: come funziona?

Intanto, come funziona l’Intelligenza Artificiale di cui ci interessa parlare in questa sede? Il suo procedimento attuale, detto in termini brutali, è più o meno questo: vengono creati dei dataset con miliardi di dati, molti più di quelli che il cervello umano potrebbe ricordare e rielaborare creativamente, che a seconda degli output forniti dall’artista possono dare origine ad opere sempre diverse. In questo caso, non si tratta di un collage di singoli pixel esistenti che vanno a completarsi grazie ai meccanismi di apprendimento. E poi c’è invece un procedimento diverso, quello del text to image che converte un file di testo in un’immagine.

Questione di merito

Scrolliamoci subito di dosso una paura: l’AI non produrrà opere d’arte per propria iniziativa, né tantomeno saprà quando sta producendo arte e quando non-arte. Un riconoscimento di questo tipo dipenderà sempre da noi e, soprattutto, senza un essere umano a spingere i tasti dietro di lei, non può esserci, al momento, alcuna produzione. Ora, stando così le cose, la creatività dell’artista risiederebbe nella selezione degli input che sceglie volontariamente di dare secondo i criteri che ritiene più opportuni. A quel punto sarà valorizzata più l’operazione mentale alla base dell’opera, piuttosto che il risultato in sé. Il merito artistico si spartisce fra umano e non-umano, e questo ci spaventa.

Una vecchia storia

Eppure, la storia dell’arte è una costellazione di minacce. Quando l’arte aveva intenzioni di realismo, arrivò la fotografia; quando l’arte aveva ambizioni di movimento, arrivò il cinema. Le arti visive si sono sempre dovute interfacciare con il nuovo. In più, gli artisti si sono progressivamente appoggiati alle macchine, lasciandosi dietro la vocazione artigianale alle radici dell’arte. Non solo. L’arte contemporanea, senza neppure dover scomodare il fenomeno degli NFT e di tutti i risvolti della rivoluzione digitale, ha sempre tracciato un movimento molto chiaro rispetto al passato. L’arte si è fatta sempre più complessa e pregna di elementi intellettuali e teorici, da perdere ogni immediatezza, e da spostare il baricentro del suo valore dall’opera visibile-tangibile, che rispondeva all’idea del “bello”, all’opera pensata. Il movimento tracciato è lo stesso, e forse l’avvento dell’AI ne registra la curva più alta, o forse la sua naturale degenerazione.

La punta dell’iceberg

Se ci mettiamo l’umile parere del sottoscritto, l’Intelligenza Artificiale, in quanto culmine, potrebbe essere una chiave di svolta, il giro di vite. Un’ulteriore, brusca torsione. In questo caso, si profilerebbe all’orizzonte un divaricamento: da una parte l’esigenza di un ritorno alla dimensione artigianale dell’arte tradizionale, dove la filiera produttiva è tutta nelle mani dell’artista, e dall’altra un ennesimo ampliamento di ciò che chiameremo “arte”. In ogni caso, comunque, il problema non sarebbe nemmeno il fatto che ognuno potrà utilizzare questo nuovo strumento e che i veri artisti, quelli validi, non verranno riconosciuti. Oggi tutti noi, o quasi, potremmo permetterci una tela e dei buoni colori ad olio. Quasi tutti, con un po’ di fatica, potrebbero arrivare a posare le mani sopra un pianoforte. Eppure, finora non si è ancora visto questo sovraffollamento di nuovi Picasso e Chopin. Non è la democratizzazione degli strumenti a essere un problema, anzi, il problema è la consapevolezza del riconoscimento, già controversa per alcune opere della modernità.

La domanda è mal posta

Quanto al diritto d’autore e al valore sul mercato di eventuali opere d’arte prodotte grazie all’AI, non è il caso di allarmarsi, essendo già parecchio discutibile il modo in cui opere di cinquanta, venti o tre anni fa vengano valutate dal mercato, sempre che il valore artistico possa tradursi in valore monetario. Non sembrano questi gli interrogativi più brillanti che potremmo porci. Così come non è particolarmente intelligente chiedersi se l’AI possa produrre arte o meno. Piuttosto, arrivati a questo punto, la domanda che sarebbe opportuno fare a noi stessi (come fruitori) è questa: di che tipo di arte sentiamo di aver bisogno? Dopo di che, non ci resta che interpellare gli artisti.

Immagine in evidenza: Andrea Concas

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