Il biglietto te lo pago io per…”Quarto Potere”

Quarto potere“, il rinomato capolavoro di Orson Welles, è stato richiamato in questi giorni a riprendersi ciò che è suo. A tal proposito è stata realizzata un’intervista, di seguito riportata, a Sergio Sozzo, critico cinematografico e direttore di Sentieri Selvaggi.

83 anni di solitudine senza Orson Welles

E chi si sarebbe mai immaginato di ritrovarselo in sala? “It’s been 84 years…”, anche se a voler essere proprio precisi, Rose, nel nostro caso gli anni sono 83. Sembrano pochi, ma in realtà sono abbastanza da farci dimenticare la vera bellezza di qualcosa. Il lavoro massimo, senza tempo, di Orson Welles, “Citizen Kane” – “Quarto Potere”, vale l’eccezione. Saggezza, bravura, chiaroveggenza. Chiamatela come più vi piace ma qualunque nome scegliate esso non basterà a raccontare l’”uomo dietro al manifesto”.

È di I Wonder Pictures il merito di aver riportato dal 24 marzo nelle sale italiane questo Classic, un vero e proprio capolavoro che risorge, richiamato a brandire le sue armi contro una nuova generazione di pubblico.

In merito ho avuto la possibilità di realizzare un’intervista a Sergio Sozzo, giornalista critico e direttore editoriale del quotidiano online Sentieri Selvaggi. Lascio dunque la parola a chi più ne sa, Sergio take it away!

Sergio Sozzo – Orson Welles

Cosa ti viene in mente quando ti dico “Quarto Potere”?

Quando penso a “Quarto Potere” penso innanzitutto a un regista 25enne che affronta il suo film d’esordio con una libertà incredibile: nel 1941 Orson Welles scrive, dirige e interpreta questo film, dove decide di raccontare come figura tragica uno dei magnati dell’industria dell’informazione, Randolph Hearst, e lo trasforma in “Citizen Kane”. Era quindi per lui un’operazione politica, come lo erano state le cose che aveva fatto precedentemente in radio. E lo fa con le armi che aveva a disposizione un regista nel ’41, ovvero con un cinema che è ancora un territorio vergine. Welles fa saltare tutto in aria. Prende il classico e prende John Ford, e inventa la modernità cinematografica. Un ragazzo che capisce il “potere” e le potenzialità eversive degli strumenti che ha a disposizione. Ciò è vero oggi come allora, con le tecnologie odierne e con i ragazzi che hanno ancora voglia di creare un loro immaginario. L’approccio di Welles può essere un punto di riferimento per chiunque si trova a lavorare con le immagini anche nel 2024.

Nel 1941 il film non fu apprezzato come Welles l’aveva inteso. Oggi che tipo di pubblico ricerca e quale accoglienza riceve?

Queste operazioni dei restauri in sala vengono da esperienze che sono state fatte dai festival negli ultimi anni: penso al Cinema Ritrovato di Bologna o alla sezione di Venezia Classici. Il successo di questi restauri è sempre sorprendente, soprattutto perché si tratta di film che non sono irreperibili, che è molto semplice vedere in altra maniera.

Uno dei primi motivi per andare a vederlo in sala è la sua grandissima capacità compositiva, dal punto di vista espressivo e formale, che ancora oggi è imponente come altre cose che Welles farà in futuro e che, spero, si vedranno anche in sala: penso a “Rapporto confidenziale” oppure a “L’infernale Quinlan”, non meno immaginifici. Da una parte quindi c’è la possibilità che viene data dai festival; dall’altra c’è evidentemente una fame di cinema. È un momento questo in cui c’è molta curiosità, che non è più connessa con un percorso di ricerca, ma è molto più erratica. “Quarto Potere” non è mai uscito dai riflettori: è un cult che non ha mai smesso di essere tale, e ora ne stiamo verificando la tenuta nel tempo.

Ha davvero senso riproporre “vecchi film” al cinema? Si può parlare di un cinema che si fa “museo” di sé stesso?

Questa deriva museale delle sale cinematografiche non è per forza una cosa negativa, nel momento in cui le nuove uscite sono sempre più messe a disposizione dalle piattaforme e i sistemi casalinghi per fruire del cinema sono ai livelli di quelli di alcune sale cinematografiche. L’idea del museo, in realtà, è qualcosa anche di molto vitale. Perché se noi a “museo” sostituiamo “cineteca”, nel mondo – ma anche in Italia, penso a Torino per esempio, a Roma, a Milano – le cineteche sono posti molto attivi che fanno molto lavoro di ricerca, non soltanto di restauro. Un “museo” che può anche essere della contemporaneità, dove vedere la video-arte e le sperimentazioni con le immagini. Tanto cinema contemporaneo si avvicina alla fruizione “installativa”: penso a “La zona d’interesse” di Jonathan Glazer, o anche a “Dune 2” di Denis Villeneuve, a film visual, immersivi e interattivi.

Le sale cinematografiche oggi sono orientate all’idea dell’appuntamento-evento: qualcosa che devi assolutamente fruire in quel momento, proprio in quel posto e per pochi giorni. Non so se questo basterà a tutelare il destino delle sale cinematografiche. È dal Covid in poi che continuiamo a sentirci dire: “Le sale chiuderanno”. Però siamo qua a parlare di “Quarto Potere”, visto da decine di migliaia di persone da quando è uscito in sala qualche giorno fa.

Immagine in evidenza: RB Casting

Lascia un commento