Tempo di arare. Preparare il terreno all’incontro con l’Altro

Gli spazi di condivisione possono nascere spontaneamente. Rispondono a un essenziale bisogno di confronto che va curato e coltivato. Se questo viene dimenticato, abbiamo il diritto e la responsabilità di costruire le occasioni di scambio. Così anche un’ora su Google Meet diventa un momento prezioso per interrogare la propria vita e lasciarsi interpellare dalle esperienze degli altri.

Nel prologo di Concime scrivevo che “dialogare con gli altri e condividere le opinioni è un passo fondamentale nel cercare di comprendere qualsiasi cosa”. Ne sono tutt’ora convinta. Mi sono resa conto che Concime, come antologia di voci pensanti, non era abbastanza. Tempo di arare nasce proprio dalla necessità di un ambiente multilaterale che non sia solo una proposta di riflessione, ma anche strumento e sede per uno scambio di opinioni e un arricchimento vicendevole.

Parlare dell’alterità

L’essere umano è una singolarità irriducibile. Per molti versi, Concime ne è stata una conferma. La sfida proposta dal format consiste in conversazioni che hanno il via dallo stesso spunto:

Quando lo sterco esce dal sedere del cavallo è troppo caldo, troppo acido, troppo denso. Puzza, è disgustoso. Se lo spandi subito sui fiori e sulle sementi, li brucia e li distrugge. Il concime bisogna farlo riposare, seccare, deve decomporsi lentamente. Con il tempo diventa malleabile, inodore, leggero, fecondo. È allora che dà i fiori più belli e la crescita migliore.

Più forte dell’odio, Tim Guenard

I capitoli di Concime sono la prova di questa unicità. Dalle medesime quattro righe sono nati dialoghi che hanno preso strade completamente differenti. Tuttavia, si possono notare delle tematiche che ritornano, echeggiando in ogni articolo. La rubrica è nata senza una struttura precisa o delle delimitazioni che orientassero il campo della discussione. Il filo rosso che lega i capitoli si è palesato da sé, come un’urgenza percepita collettivamente. Alterità, relazione, accoglienza. Queste le parole che intessono la trama delle riflessioni di Concime.

Quando è tempo di arare?

Perché il terreno possa portare frutto deve essere lavorato, il concime è necessario ma non sufficiente. Una volta riconosciuto lo sterco, è ora di dargli un senso. Non lo possiamo fare senza sporcarci le mani. Rovesciando la terra, si prepara il campo per la semina e si crea un ambiente ospitale per i futuri germogli.

Quando è tempo di arare? I campi hanno delle specificità e un clima che rende propizia per l’aratura una o l’altra stagione. Ognuno saprà quando sarà l’ora di preparare il suo terreno. Possiamo iniziare a pensarci ora, insieme. Tempo di arare è un’esperienza che scaturisce da quell’urgenza notata nei mesi di lavoro a Concime: riconosce e valorizzare l’Altro per quello che è. C’è bisogno di andare oltre all’Io e alla produzione personale. Freud parlava dell’idealizzazione come il processo narcisistico che spinge il soggetto a percepire il mondo alla stregua del proprio Io. L’alterità è dunque percepita come un doppio dell’Io che vale in quanto specchio del soggetto, non per la sua essenza ontologica e per la sua particolarità. L’Altro è una costruzione a immagine e somiglianza dell’Io.

Tempo di arare
Concime e l'incontro con l'altro

Creare spazi di confronto

Ai giorni nostri, in un contesto di incrementale polarizzazione e radicalizzazione delle idee, emerge una difficoltà nell’apertura al pensiero altrui. Le tecnologie, mai neutrali, amplificano il processo per mezzo di fenomeni come le echo chambers e le logiche algoritmiche. Non si permette all’Altro di raccontarsi e anche se ciò accade non lo si ascolta. Si tratta di un’attività scomoda che richiede tempo e fatica, spesso rifiutata già a livello inconscio. Progettiamo situazioni, incapsuliamo in schemi le persone. Il diverso è rigettato o semplicemente ignorato. Tempo di arare è uno spazio di condivisione per parlarne, con uno sguardo al contempo critico e propositivo.

Il percorso è guidato dal testo L’espulsione dell’Altro del filosofo coreano Byung-Chul Han ed è costellato da altri spunti e riferimenti. Siamo eredi di un patrimonio di conoscenze e riflessioni fatte da chi prima di noi si è messo in discussione. Riconoscerlo e farlo risuonare nella propria interiorità significa entrare nella Storia e ad essa contribuire.

Comunicare l’indicibile

Il trauma lascia delle ferite profonde. Talvolta è un evento che fa da collante tra coloro che lo hanno vissuto, ma spesso si pone come muro di separazione. Abbiamo iniziato lo scorso incontro di Tempo di arare chiedendoci se fosse possibile comunicare l’indicibile. Quanto ci è possibile condividere la nostra esperienza con gli altri? Qual è la soglia che nel ricordo traumatico separa la solitudine dall’occasione di incontro?

Ognuno dovrebbe avere qualcosa da nascondere. Nonostante oggi ci siano innumerevoli strumenti e piattaforme per comunicare il sé e le proprie visioni, la trasparenza non è l’unica opzione. La fiducia è un bene limitato che si riserva a una cerchia ristretta di conoscenze e l’intimità si costruisce in una relazione esclusiva. Le cose acquisiscono valore per sottrazione.

Il dolore è sempre reale. La percezione degli avvenimenti dipende dalla soggettività di ognuno e la pretesa di fare una gerarchia che classifichi “chi soffre di più” è insensata. Quando il mio dolore è degno di essere chiamato come tale se gli altri hanno sempre dei problemi maggiori? Questo meccanismo dà inizio a un’incomprensione che amplifica il malessere invece che ridimensionarlo.

Finché il trauma è un’entità senza nome e priva di forma, è ubiqua e pervade ogni pensiero. Raccontarsi ed esternare la sofferenza ne alleggerisce il peso, ma solo una volta che questa è stata elaborata. Attribuire un senso all’esperienza dolorosa richiede un tempo di maturazione. Vuol dire astenersi dal rendere pubblico tutto e subito, acquisendo la facoltà di custodire. In questo modo la condivisione è un’operazione che non ha il fine di cercare la comprensione degli altri, perché a quel dolore è già stato dato un volto. Se prima era uno schiacciante indicibile, il percorso di elaborazione gli restituisce il suo peso. Lo possiamo tenere tra le mani e farne materiale per edificare il futuro.

Il prossimo incontro di Tempo di arare si terrà il 12 maggio alle ore 21.30
“Problemini, problemoni, problemi” di Mattia Labadessa

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