Qui si fa l’Europa: Ucraina non è Russia

La Russia ha invaso l’Ucraina. L’Ucraina non è territorio della Russia. Questo è un fatto che troppi stanno dimenticano, in questi giorni. Ora possiamo approfondire le notizi restanti.

Come sempre, questo è Qui si fa l’Europa!

L’invasione della Russia

L’ultimoQui si fa l’Europa” è stato pubblicato nei primi giorni dell’aggressione russa. Giorni drammatici, che sono diventati una tragica costante per migliaia e migliaia di ucraine e ucraini. Nel corso di questo mese, con la defezione di qualche presunto intellettuale, abbiamo visto, letto e sentito un Occidente unito nella condanna dell’imperialismo di Vladimir Putin. Un fatto importante, storico.

Oggi possiamo dire che la maggior parte degli europei abbia rifiutato quell’ipocrita neutralità equidistante che sa tanto di indifferenza, in favore dell’accettazione di una partigianeria, di una netta presa di posizione. Sorprendente. Sorprendete, in senso positivo, per noi europei. Soprattutto per chi ha sempre sostenuto l’idea di un’Europa più unita e compatta. Sorprendete, in senso negativo, per Vladimir Putin.

Alcune delle influenze russe in Occidente

Il dittatore – perché di dittatore si tratta e si è sempre trattato – ha agito con la speranza, o con la previsione, di un fronte occidentale più frastagliato, più diviso e, quindi, più malleabile. Del resto, la Russia ha lavorato, negli ultimi anni, sempre solo per dividere l’Occidente, per dividere il “nemico” più prossimo, l’Unione Europea.

Per destabilizzare l’Europa, pericolosa perché terra troppo libera, Putin ha lavorato per favorire la Brexit [nota: qui, il rapporto britannico sulla questione interferenze russe; qui, l’atteggiamento ambiguo del governo euroscettico] e per accrescere il consenso dei partiti euroscettici [nota: ad esempio, la Lega Salvini Premier strinse un’alleanza con il partito Russia Unita].

Per destabilizzare l’Europa, pericolosa perché troppo democratica, Putin ha stretto accordi ambigui con alcuni paesi [nota: il New Yorker ha evidenziato le “origini italiane” del vaccino russo Sputnik; la missione russa in Italia del 2020 fu quantomeno ambigua].

4 luglio 2019: ricevimento in onore di Putin presso Palazzo Chigi | © Palazzo Chigi

In quest’ottica, le vicende intercorse lungo il confine tra Bielorussia e Polonia. Ricorderete che il paese alleato di Putin attuò una strategia di destabilizzazione dell’Unione. La Bielorussia di Alexander Lukashenko attirò, con visti facili da ottenere, le persone che migrano da paesi come Siria, Iraq e Afghanistan, al fine di spingerli verso i confini polacchi. L’obiettivo, chiaro, era quello di mettere in difficoltà i polacchi e far crescere il conflitto interno ai paesi europei sulla questione delle persone migranti: la Polonia, assieme ad altri paesi, è il volto del populismo euroscettico di destra nei confini europei e questa situazione ha incrementato la distanza. Distanza che, poi, si è ricucita velocemente, con la Polonia, guidata da un noto spirito anti-russo, che si è riallineata, almeno su questo, ai paesi europei e della NATO.

Di difesa e di spesa militare

Una prima reazione è stata quella della Danimarca.

Il paese, governato dalla socialdemocratica Mette Frederiksen, ha scelto di percorrere la strada del referendum per abrogare la norma che impedisce al paese di condividere le misure dell’Unione nella politica di difesa. Il fatto è straordinario: lo stato speciale è sempre stato protetto dai vari governi, la scelta di allontanarsene è rivoluzionaria e in grado di spiegare l’eccezionalità della situazione.

Mette Frederiksen | © Emil Helms/Ritzau Scanpix via AP

Nel resto dei paesi europei, il tema è quello della spesa militare.

Il dibattito su questo tema è particolarmente acceso, anche comprensibilmente. La situazione straordinaria prevede prese di posizioni fuori dal comune, sia in una direzione che in un’altra: credo sia evidente a tutti. Personalmente, mi permetto solo di dire, nel mio piccolo, che l’incremento della spesa militare dei singoli paesi non equivale necessariamente all’aumento della sicurezza. Un passo verso una maggiore sicurezza, una maggiore capacità di difesa di sé e dei propri alleati, dovrebbe essere quello di una politica estera e di difesa comune all’Unione, con un esercito comunitario e con degli investimenti mirati fatti come Unione Europea. L’ognun per sé e dio per tutti non funziona più, e forse non ha mai funzionato. Anche senza il forse.

In questa direzione è, dunque, apprezzabile la decisione dell’UE di creare una sorta di proto-difesa comune, composta da circa 5mila soldati, in grado di intervenire in situazioni di crisi, e un aumento della spesa militare in modo coordinato al fine di poter effettuare interventi militari autonomi entro il 2025. Il documento, approvato il 21 marzo, prende il nome di Bussola strategica e mira a dettare la linea.

Borrel, l’alto rappresentante per gli Affari Esteri dell’UE | © ANSA/EPA/JULIEN WARNAND

La propaganda russa

Vivendo in un paese come il nostro, è difficile comprendere la potenza della propaganda della Russia, un paese dove anche questo blog non potrebbe esistere.

I (pochi) media russi raccontano una storia alternativa, lontana dalla verità e unica al mondo: non parlano di invasione, non parlano di guerra (è “operazione speciale”), raccontano di una Russia accerchiata dal mondo solo perché vuole salvare l’Ucraina. Non solamente da oggi: esiste, fin dal 2019, una legge che censura de facto ogni dissenso. In questo momento, la situazione è peggiorata: i social media, già limitati, sono stati ancor più ristretti, è stato generato un vuoto di informazione che viene occupato dalla martellante propaganda.

Una bolla che, secondo il Washington Post, ha portato i russi non solo a essere vittime di una distorsione dei fatti, ma anche a disinteressarsi completamente della politica. Questo è il “successo” più grande: una massa che non si interessa, che è isolata e che è totalmente distaccata, è molto più utile al totalitarismo di un manipolo di sostenitori convinti del regime. Questo è il “successo” del totalitarismo di Putin, uno dei punti di origine di tutti i totalitarismi per Hannah Arendt.

Le milizie in guerra

In un conflitto, non sono solo gli eserciti a sparare. In un conflitto, a imbracciare la armi sono anche i civili, che cercano di fare ciò che possono. In un conflitto, a imbracciare le armi sono anche le milizie, più o meno organizzate, più o meno con un indirizzo politico e ideologico marcato.

In questo conflitto, i civili che hanno imbracciato le armi sono donne e uomini ucraini che cercano di difendere la loro patria. Non sono necessariamente organizzati o particolarmente capaci. Molti di loro si sono armati dopo l’invasione, alcuni poco prima, tanti ai tempi dell’invasione russa in Crimea. Molti di loro sono già caduti, e molti di loro cadranno, nelle città, il luogo in cui civili e milizie combattono maggiormente. Gli eserciti “regolari”, infatti, faticano ad accedere alle città e combattere negli spazi stretti che le caratterizza. Civili e milizie, con più ampio margine di manovra, riescono a essere militarmente pericolose.

Sono proprio le milizie, in questo come in altri conflitti, che assumono un ruolo di discreta importanza.

Le milizie russe

I russi hanno fatto ricorso a Kadyrov, il leader ceceno che fa della brutalità un suo vanto, e alle sue milizie. Durante la guerra in Cecenia, dove Putin aveva già dimostrato tutto quello che stiamo vedendo oggi e di più (lo dico per chi si stupisce della sua brutalità: ben arrivati), alcuni civili organizzati in gruppi armati antirussi furono sostanzialmente comprati da Putin, al fine di rivoltarli contro gli altri ceceni. Fra questi, Kadyrov si distinse per la sua crudeltà disumana e i feroci crimini di guerra: uomini legati col filo spinato venivano arsi vivi e resi alle loro famiglie, quando queste pagavano [nota: lo racconta bene Cecilia Sala nel suo Stories]. Queste milizie stanno combattendo per i russi in Ucraina, come affermato dallo stesso leader ceceno sul suo canale telegram [nota: ne sconsiglio la lettura].

Oltre a questi, sono molti i siriani fedeli ad Assad giunti per combattere. Si parla di numeri altissimi, ma non si sa quanto corrispondano al vero: dichiarare un elevato numero ha, in primis, un effetto distruttivo sul morale.

La guerra è guerra, anche psicologica.

Le milizie ucraine

Per motivi simii, anche l’Ucraina si avvale di milizie. Tra queste, cito il Battaglione Azov, molto discusso in questo periodo. Il battagione è un caso-esempio significativo: è organizzato, conosce la zona in cui combatte (il Donbass e la zona che si affaccia sul mar d’Azov) meglio delle truppe regolari di ambo gli schieramenti, è schierato politicamente (sono neonazisti: il loro simbolo è quello che usava il nazismo prima della svastica) e ha commesso crimini di guerra (dall’occupazione della Crimea in poi, in un conflitto compiono soprattutto di crimini di guerra).

Questo battaglione è stato intregrato nelle file ufficiali dell’esercito ucraino, ma questo non vuol dire che sia alleato del governo centrale. Anzi, il battaglione ha anche minacciato il Presidente dell’Ucraina.

La guerra è guerra, e, se il nemico del tuo nemico diventa momentaneamente tuo alleato (non amico), non vuol dire che il tuo paese è neonazista: l’estrema destra conta, in parlamento, poco o nulla. Rimane, dunque, giusto ricordarne l’esistenza, ma non deve essere una scusa per voltarci dall’altra parte, come vorrebbe la Russia (che, infatti, “spinge” molto su questo).

Elezioni presidenziali in Francia

Le elezioni presidenziali francesi si terranno tra il 10 (primo turno) e 24 aprile (ballottaggio). I sondaggi guardano verso un’unica direzione: la vittoria di Emmanuel Macron. L’attuale monsieur le Président, che ha ufficializzato la sua ricandidatura, parrebbe dare una ventina di punti percentuali a tutti. Può sembrare un paradosso, ma l’entourage del suo partito teme questa situazione. Il comportamento degli elettori, sostiene un dirigente di LaREM, è “illeggibile“, visto che “dicono che voteranno già per noi!“. Potrebbe essere nonnecessariamente positivo“, tanto che ci si chiede “andranno davvero alle urne?” e “sanno cosa proponiamo?“. Il timore, dunque, è che, pensando ad una vittoria certa del più giovane Presidente della Repubblica francese, vi sia un forte calo dell’affluenza, che potrebbe favorire gli avversari.

Va, però, registrato che, dopo l’aumento di consenso seguito all’invasione russa, l’attuale presidente è in leggero calo.

Macron | © SARAH MEYSSONNIER / POOL / AFP, via AGI

Sostiene il The Economist che Macron abbia l’88% di probabilità di vittoria, indipendentemente da chi accederà al ballottaggio con lui. Gli avversari più agguerriti sono, senza dubbio, Marine Le Pen, Eric Zemmour e Valérie Pécresse.

Gli avversari di Macron

Sugli avversari, c’è qualcosa da dire. Innanzitutto, bisogna dire che Marine Le Pen è riuscita a ottenere le 500 firme (603), nonostante il timore di non riuscirci. Il risultato, tutt’altro che esaltante, le permette di accedere alla tornata elettorale dove, secondo i più recenti sondaggi, riuscirebbe ad accedere al ballottaggio. Nel corso dell’ultimo mese, infatti, l’opinione pubblica francese è stata in subbuglio per ovvi motivi. Ciò ha generato un sensibile calo di consensi per Valérie Pécresse: ipotizzo (io, nel mio piccolo) che il suo fare da trade d’union, per moderati e meno moderati, le abbia fatto perdere, in questa situazione, alcuni degli stessi più moderati (Macron) e meno moderati (Le Pen, Zemmour). Sempre lontana, nei sondaggi, la sinistra di Anne Hidalgo. Sempre più in salita i consensi della sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon.

Le Pen, Zemmour e Pécresse | © AFP/Julien De Rosa, via LeParisien

Il confronto tra i tre, in generale, ha una rilevanza anche per il 2027: se Macron verrà rieletto, non potrà ricandidarsi e, perciò, la destra francese proverà a ricomporsi in un unico blocco.

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