Concime cap. 14: Il tempo della montagna

Anche in un periodo in cui si teme il contatto fisico possono svilupparsi dei progetti orientati allo scambio e alla collaborazione. Per esempio, negli ultimi mesi il collettivo Laagam si è adoperato per la creazione di un luogo di residenza per artisti a Castellaccio, una frazione abbandonata in provincia di Sondrio.

Erica Meucci del collettivo Lagaam
Erica Meucci

Per Erica Meucci, danzatrice e autrice, questa intuizione è il crocevia di bisogni e desideri. Rappresenta la possibilità di andare sul monte in senso letterale e metaforico. Salendo ci si allontana dal punto di vista abituale e si osserva la realtà da un’altezza diversa. Così si possono riscoprire le cose, restituendo loro il giusto valore. La montagna è anche un simbolo dell’isolamento: ci si può appartare dal mondo, stando comunque insieme.

Lo spazio residenziale per artisti di Castellaccio si propone di essere un punto di incontro tra il territorio della Valtellina e ciò che viene da fuori, tra artisti, tra persone, in un contesto di sperimentazione creativa. La finalità del progetto è riappropriarsi della temporalità della maturazione. La creazione è un lavoro di  emersione e pazienza, a volte frustrante, ma sempre animato dall’entusiasmo di vedere qualcosa che si trasforma. Bisogna avere la fede in ciò che è ancora informe e la disponibilità di accettare la sua evoluzione.

Il processo creativo

Questo tempo di pandemia ha messo in luce delle evidenze che non possono più essere ignorate. Gli artisti sono stati testimoni della svalutazione del proprio operato. La parte più consistente del loro lavoro riguarda il dietro le quinte. Si paga una persona perché stia nascosta dal mondo per un certo tempo e poi riemerga con lo spettacolo pronto. In un mondo in cui l’economia è il metro di giudizio per indicare cosa funziona, anche la cultura è stata messa sotto la lente d’ingrandimento economica. Se si guarda solo alla parte visibile e redditizia perde valore il momento principale, quello della creazione, e si rischia di negare il suo processo.

L’assenza di cura per l’invisibile annienta l’attività artistica. Per difenderla è necessaria una grande tenacia che chi è giovane può unire al coraggio e alla sfrontatezza. Chi ha una vita più impostata e sedimentata incontra maggiori difficoltà nell’intraprendere dei percorsi che entrano nell’ignoto, senza garanzie di successo. I giovani hanno visto la terra franare sotto i loro piedi e l’incertezza diventare una parte integrante della quotidianità, ancora più di quanto non lo fosse già prima. Per riempire questa insicurezza entra in gioco la voglia di fare, di costruire e di lottare.

Una temporalità alternativa

C’è un senso di solitudine diffuso e tangibile. L’arte, la cultura e gli eventi sono luoghi di aggregazione in cui si creano delle comunità temporanee. Ora che riaprono i teatri, si pone il quesito di cosa portare in scena e per cosa abbia ancora senso dedicare tempo e attenzione. Magari la vera risposta non è lo spettacolo, ma il ritrovarsi e abitare insieme uno spazio.

Le persone che vivono in città stanno esprimendo il desiderio di allontanarsi dalla caoticità urbana, organizzando gite fuori porta. In virtù di determinate qualità sociali, storiche e geografiche, ogni luogo è caratterizzato da un certo stile di vita. I posti isolati obbligano a rallentare il passo e scoprire una qualità della vita differente da quella cittadina.

Poter stare in una temporalità alternativa è un privilegio. Lo smartworking cancella la linea di separazione tra lavoro e vita privata, si è sempre connessi e a disposizione. È però importante porgere l’orecchio alle esperienze che testimoniano un’attitudine differente che predilige il collettivo all’individuale e il processo all’operazione immediata.

Concime cap. 14

Idee che coinvolgono

Un’intuizione può diventare una proposta coinvolgente da condividere. Fare le cose insieme e confrontarsi con una comunità è fondamentale. L’altro mette in discussione la persona, entrando in un dialogo concreto che gli impedisce di stare tra le nuvole. Quando si fa qualcosa per e con gli altri si scopre un’energia che non si pensava di avere.

Se un luogo è aperto e accogliente, una comunità gli si creerà intorno in maniera spontanea. I nuovi arrivi non sono portatori di invasioni, ma di nuove idee e visioni. Chi viene da fuori è in grado di indicare il fascino di qualcosa a cui si è così abituati che non la si nota più.

Essere intreccio nella storia

«Io adoro le rovine: quando ci si trova davanti alle macerie significa che si è anche davanti a un nuovo inizio»

Anselm Kiefer

Il progetto del collettivo Laagam parte innanzitutto da un luogo, Castellaccio è una contrada abbandonata. Data la difficoltà di sostentamento con le sole attività della frazione, la gente che la abitava originariamente si è spostata in valle. L’allontanamento dell’uomo ha lasciato case disabitate in cui è cresciuta la natura. Anche questo tempo è una rovina, abbiamo sperimentato la solitudine, l’incertezza e il dolore. Le macerie e i sassi sono un punto di ripartenza.

Insediandosi in un luogo si deve fare i conti con ciò che già c’è. Ci si inserisce in una storia. Le case nate per il turismo sono spesso costruzioni infestanti che si riempiono d’estate per poi svuotarsi nel resto dell’anno. Non sono presenze costruttive che aiutano l’identità e la storia dei piccoli paesi. Piuttosto che imporre la propria visione e cercare di cancellare o deviare quel passato e quella identità, si può aggiungere qualcosa senza snaturarli. Riabitare le rovine esige un’attitudine gentile e una particolare cautela nell’animare il territorio, diventandone parte integrante ed evitando di sfruttarlo per i propri interessi.

Concime torna tra due settimane con un nuovo capitolo

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