Intervista a Giovanna Rocca: i nuovi termini del Covid-19

“Parlare è un passaporto incredibile, ci si presenta con la parola e non con gli abiti.

Con queste parole ha esordito Giovanna Rocca, direttrice del dipartimento di studi umanistici e docente di linguistica presso l’Università IULM. La professoressa infatti si è recentemente occupata del lessico che si è diffuso durante il recente periodo di quarantena.

La professoressa Rocca è inoltre direttrice dello Human Lab, che sta collaborando con Radio IULM per documentare alcune delle sfaccettature dell’attualità durante la diffusione del Covid-19. Tra i prossimi appuntamenti, una rubrica estiva per viaggiare oltre i confini della pandemia.

Professoressa Giovanna Rocca

Covid-19 e lessico

La quarantena quanto ha cambiato la nostra concezione dei termini?

Questo periodo è stato per noi linguisti una sorta di palestra. Il cambiamento lessicale è avvenuto non per la quarantena di per sé, bensì per il Covid-19. La presenza di questo virus ha portato all’incremento nel lessico italiano di nuove parole, molte delle quali straniere.

Un esempio è lockdown, termine in realtà preso in prestito dalla lingua americana. Testualmente, lockdown è legato al linguaggio carcerario, parola che noi italiani, essendo stati i primi ad attuare una politica di confinamento abbiamo iniziato ad usare. Attualmente il termine sta avendo un fenomeno di ritorno, venendo utilizzato con lo stesso significato anche in America.

Quali termini sono stati utilizzati impropriamente in quarantena?

Il primo termine usato in modo errato è lo stesso “Covid-19“, il quale indica il nome della malattia. Naturalmente è un acronimo: Corona Virus 2019 disease (malattia). Il genere a cui accorpare questo termine dovrebbe essere il femminile data la presenza della parola desease. Nonostante questo, l’Italia ha assegnato all’acronimo il genere maschile a causa della confusione tra malattia e virus.

I neologismi durante l’emergenza sanitaria

Sono nati termini nuovi in questo periodo?

Un’innovazione linguistica (anche sbagliata) può nascere dai media e dalle istituzioni, per poi diffondersi nel gergo utilizzato quotidianamente dalla popolazione.

Uno dei termini più usato è smart working, tradotto letteralmente “lavoro intelligente”. Questa parola, nata e diffusasi in Italia, non è utilizzata dagli inglesi, che al contrario hanno adottato “working from home“, riassunto nell’acronimo WFH. Il termine è formato dall’aggettivo inglese smart, tradotto con la nuova accezione di “online”, “remoto”, “telematico”.
L’Accademia della Crusca aveva proposto la terminologia “lavoro agile”, ma l’idea è stata abbandonata per il basso uso della parola.

E per quanto riguarda parole entrate nel nostro vocabolario quotidiano come “pandemia”?

Le parole pandemia ed epidemia sono utilizzate indistintamente nel gergo quotidiano. Al contrario di quanto si crede, però, la pandemia ha un’estensione geografica maggiore rispetto a epidemia. Il termine infodemia, chiamato da noi linguistici blend, deriva dall’unione delle parole information ed epidemic. È da associare al fenomeno epidemico di informazioni false e forvianti.

Un’ altra espressione utilizzata molto in questo periodo è “distanziamento sociale“, ovvero l’insieme delle misure di contenimento adottate in questo periodo. Qualche discussione ha provocato la locuzione distanza sociale invece di distanza fisica che non tiene conto né della terminologia già in uso in italiano né che la confusione che viene spesso fatta in inglese tra social distancing e social distance non è altrettanto rilevante in italiano. Infatti in italiano questo termine è identificato come distanza di sicurezza personale/interpersonale. Per maggior correttezza e chiarezza, dovrebbe essere tradotto con “distanza fisica”. La parola “sociale” ha molti significati. In questo caso però l’inglese si riferisce a rapporti sociali, mentre in Italia è intesa come distanza di sicurezza misurabile.

Una tendenza anglofona

Perchè la maggior parte dei termini utilizzati sono anglicismi? Nel XXI secolo l’inglese è più facile e diretto da comprendere?

La terminologia del Covid-19 è improntata quasi totalmente all’inglese.
In questa lingua gioca un ruolo fondamentale la forte concisione ed espressività. L’utilizzo di anglicismi è da associare anche alla strategia della comunicazione, che ha l’obbligo di essere immediata. L’inglese si presta molto bene a questo scopo. Inoltre, gli italiani sono sempre stati mossi da una preferenza verso l’altro, soprattutto nei confronti dell’ Inghilterra e dell’America.

Può fare degli esempi?

Un esempio della diffusione massiva dell’inglese è il termine delivery, traduzione dell’italiano “consegna a domicilio”. Questo termine risulta più corto, immediato e veloce, ed è ormai entrato nel parlato comune, soprattutto nello scritto.

Il forte ruolo della lingua

Dovrebbe esserci più informazione sul significato dei termini e più consapevolezza da parte dello Stato e dei media nel loro uso?

Sicuramente ci dovrebbe essere un po’ più di rigore da parte dei media e delle istituzioni. Per lo meno, sarebbe necessario che tutti dessero le stesse informazioni e che queste siano corrette, cosa che in questa situazione di emergenza è venuta a mancare.

Quindi il lessico ha avuto e ha tutt’ora una grande importanza.

La lingua è una cosa viva e va coltivata, annaffiata come una pianta, e siamo noi che dobbiamo farlo.

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