A visual protest. The art of Banksy

 

Milano, 21/11/2018. Al Mudec si inaugura la mostra dedicata a Banksy chiamata “A visual protest. The art of Banksy”.

Love is in the air, o Flower thrower (2003)

Muri spezzati e colori vivaci sono ciò che ci accoglie appena entrati. A pensarci, sono elementi proprio azzeccati. La sua arte di muri ne voleva rompere e uno in particolare, quello tra Cisgiordania e Israele, su cui ha lasciato molte delle sue opere. Di colori, invece, ne usa pochi, ma quando lo fa sono i protagonisti assoluti dei suoi stencil.

La mostra, curata da Gianni Mercurio, ci fa percorrere la sua storia a partire dalle sue influenze, fino alle opere più famose. In una stanza, addirittura, si può sentire anche la sua musica, perché sì, ha scritto anche delle canzoni. Tra un murales e l’altro, poi, ha anche diretto un film.

Figura poliedrica, sempre un po’ misteriosa, che tutte le volte suscita in chi guarda i suoi lavori una sola e unica domanda: “Chi sei, Banksy?”.

Banksy, nato sicuramente a Bristol, oggi uomo di circa 44 anni, ha iniziato la sua carriera come writer, e le sue opere si possono ammirare in giro per il mondo; molti dei suoi lavori sono presenti anche in paesi colpiti da guerre, come per esempio Siria e Israele, dove il suo messaggio prende una piega di dissenso contro ogni tipo di violenza.

La sua arte è intesa come protesta e disobbedienza al sistema, come resistenza attiva, ma pacifica.

Love Rat (2004) e Gangster Rat (2003)

Il suo essere “invisibile” è una condizione necessaria e irrinunciabile per sfuggire ad ogni tipo di controllo. I suoi messaggi di protesta sono metafore sul mondo e sulla società in cui viviamo (la guerra, il conformismo, le migrazioni, il consumismo…), che giungono dirette e colpiscono al cuore, soprattutto le giovani generazioni.

Uno dei soggetti preferiti da Banksy per esprimere il suo pensiero sono i topi: “esistono senza permesso, sono odiati, braccati e perseguitati. Vivono in una tranquilla disperazione nella sporcizia. Eppure, sono in grado di mettere in ginocchio l’intera civiltà”.

Queste sono le parole che usa per esprimere anche la sua condizione di artista. I graffitisti, infatti, vivono nelle stesse condizioni dei topi: sono considerati dei reietti e non degni di poter esprimere le loro idee, ma se si scava nel profondo dei tunnel, nel profondo della civiltà, si può vedere come solo loro riescano a vedere, da un punto di vista veritiero, la condizione di degrado della società che ci circonda.

Bambina con palloncino (2002)

La sua posizione di totale dissenso nei confronti di qualsiasi forma di violenza, attraverso l’utilizzo di una cupa ironia, è un punto centrale delle sua arte. Più che un impegno politico, è una guerra culturale. Le sue opere, nelle quali viene tematizzata la religione, l’industria bellica, lo sfruttamento del territorio, mostrano una realtà che ci dovrebbe spingere a riflettere su quali possano essere le reali cause dell’uso della violenza, anche se intraprese in nome della pace e della democrazia. La sua arma più potente è la riflessione: far riflettere gli spettatori, fargli capire quanto sia necessario opporsi, pacificamente, a queste forme di violenza; Banksy prepara i suoi spettatori ad una guerra culturale.

I veri “soldati” di questa guerra, che l’artista inglese vuole far iniziare, sono i bambini, eroi in un mondo in preda alla violenza e alla sopraffazione, unici veri possibili portatori di un messaggio di pace.

Usciamo dalla mostra con le immagini di guerra negli occhi e di speranza nel cuore. La speranza che ci fa sentire uniti contro le ingiustizie, quella che ci ricorda che non tutti sono indifferenti di fronte al male, che c’è chi fa sentire la propria voce.

 “Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti” (Un prete, Palermo, anni ’90)

 

Beatrice Pertile
Leonardo Serban

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