Oriens – Holy Spider

Torniamo con una nuova puntata di Oriens per parlare dell’ultimo film di Ali Abbasi, Holy Spider, presentato in concorso alla 75esima edizione del Festival di Cannes.

La morsa del ragno

Siamo nel 2001 e nella città di Mashhad si verificano una serie di delitti efferati.
Un uomo si aggira di notte nelle strade, adesca le prostitute e le uccide con il loro velo, strozzandole. Per fare luce sugli omicidi e cercare di mettere pressione mediatica alla sonnolenza della polizia locale, arriva da Teheran la giornalista Rahimi.
Mentre il resto della stampa contribuisce ad espandere l’allarmismo, battezzando il killer come il “Ragno” e suscitando l’iniziale terrore della gente, lo spettatore gode del privilegio di conoscerlo. La sua vita, la sua famiglia, la sua professione: qualità di un’esistenza straordinariamente comune.

Mehdi Bajestani in Holy Spider, 2022

Saeed è vittima di una tragedia che ha toccato in quegli anni milioni di iraniani, l’insensata invasione dell’Iraq: otto lunghi anni di guerra (1990-1998) terminati senza conquiste né lodi. All’epoca l’arruolamento faceva leva sul mito del martirio, concetto basilare dello sciismo: Saeed anelava alla morte sul campo di battaglia e sopravvivere al conflitto instaura in lui la convinzione di non aver portato a termine il proprio compito.
Uccidere le donne che commettono peccato diventa così la sua unica missione, l’unico modo per dare un senso alla propria vita.

L’occhio del progressismo

Rahimi è l’occhio del progressismo della grande città che si scontra con il conservatorismo del piccolo centro. È la resistenza ai reazionari codici sessisti che vorrebbero rintanare le donne tra le mura delle abitazioni, rinchiuderle all’interno di prigioni istituzionalizzate. Lei, invece, esce, perlustra, si traveste e con la sua intraprendenza e tenacia riesce ad addentrarsi nei meandri più bui e desolati della città, che altro non sono che quelli della mentalità islamica iraniana.

Zahra Amir Ebrahimi in Holy Spider, 2022

In questo, la regia di Abbasi, compie una scelta che nemmeno i grandi nomi del cinema iraniano, come Kiarostami, Panahi e Farhadi, erano riusciti a mettere in atto (non a caso è una co-produzione danese-tedesca-franco-svedese). Solitamente i personaggi femminili nel cinema iraniano vengono sempre mostrati velati, anche all’interno dei focolari domestici. Infatti, il male gaze è consolidato già a partire dalla scrittura del film: pensato come un prodotto rivolto ad un pubblico maschile, per forza le donne devono mostrarsi velate, anche in condizioni in cui potrebbero non esserlo. Il regista, invece, coglie tutte le figure femminili nella loro intimità e le priva del velo, ritraendole con una libertà espressiva quasi rivoluzionaria.

Un velo che strozza

Saeed uccide le sue vittime con i lembi del velo che indossano. Le ammazza con quell’indumento che nell’ultimo anno ha provocato vittime e proteste sanguinose come non se ne vedevano dalla Rivoluzione del 1979.
Ali Abbasi non sottrae la macchina da presa di fronte al soffocamento, anzi, si impegna a mostrarci tutta la durata dell’operazione. Gli omicidi di Saeed diventano metafore per raccontare gli omicidi di uno Stato intero, di un sistema asfissiante ed opprimente nei confronti delle donne, impossibilitate all’autodeterminazione e costrette alla subalternità quotidiana. Il velo è un’arma che strozza.

Holy Spider, Ali Abbasi, 2022

La trappola della ragnatela

Uno degli aspetti più interessanti del film è come la percezione di Saeed, una volta resa nota all’opinione pubblica la sua identità, subisca un’inaspettato rovesciamento: non più il killer pazzo da condannare all’ergastolo o da giustiziare, ma un missionario altruista e benefattore. Saeed riceve la solidarietà della gente del paese, viene quasi ringraziato per la sua attività di purificazione delle strade.
È qui il paradosso: l’immoralità, secondo i codici islamici che governano il paese, della professione delle donne ammazzate legittima la purga di misoginia e fanatismo di Saaed.
Quando alla fine viene condannato, più per la pressione mediatica esterna che per la volontà di giustizia, assistiamo all’aberrante complicità e corruzione delle forze dell’ordine: il verdetto è inizialmente puro spettacolo.

Al di fuori dell’aula, il tribunale pullula di sostenitori pronti a terminare la missione di Saeed e la scena grottesca nel finale non ripone molte speranze in un possibile cambiamento.
La mentalità di un patriarcato fondamentalista e accecato dalla sua stessa corruzione ha intrappolato nella sua ragnatela anche le future generazioni. L’ “Holy Spider” ha una schiera di nuovi adepti pronti a cacciare vecchie prede.

Holy Spider, Ali Abbasi, 2022

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