Il 12 Ottobre del 1963 nasceva in Hokkaido, precisamente nella città portuale di Kushiro, il maestro Kon Satoshi. Uno dei registi più importanti della storia cinematografica giapponese, di certo uno dei più influenti in occidente. In questo articolo, in occasione di quello che sarebbe stato il suo 62esimo compleanno, esploreremo la carriera del regista e l’impatto significativo che la sua poetica e la sua estetica hanno avuto sul cinema occidentale.
L’infanzia e i primi lavori
Kon si trasferisce in giovane età a Sapporo a causa del lavoro del padre. Proprio nella metropoli capoluogo dell’Hokkaido, il regista inizia a muovere i primi passi della sua breve ma intensa carriera artistica. Alle scuole superiori si appassiona di animazione e ispirato dai lavori di Isao Takahata, Hayao Miyazaki e Yoshiyuki Tomino, decide di trasferirsi a Tokyo per frequentare il corso di Graphic Design alla Musashino Art University con l’idea iniziale di diventare un pittore.
Il suo primo lavoro arriva proprio durante il college con il manga Kaikisen nel 1991. In questo periodo inizia a collaborare con Katsuhiro Ōtomo, autore di Akira, che lo coinvolge in diverse produzioni, tra cui spicca il film antologico Memories (1995), dove Kon firma il segmento Magnetic Rose. Questa collaborazione segna l’inizio di una visione più matura e cinematografica dell’animazione.
Nel 1997 Kon debutta alla regia con Perfect Blue, un thriller psicologico che esplora il tema dell’identità e della percezione, e che lo consacra a livello internazionale. Il film segna l’inizio della sua poetica e lo porta fin da subito ad essere considerato tra i più promettenti registi d’animazione del nuovo secolo.
La maturità artistica e la morte prematura
Dopo una travagliata fase di preparazione, Kon è costretto a rimandare il suo secondo progetto Paprika per la bancarotta della Rex Entertainment, casa di produzione che si era occupata anche del suo film precedente. Satoshi Kon torna in sala 4 anni dopo con Millennium Actress (2002), opera che ottiene maggiore successo rispetto a Perfect Blue. L’anno successivo esce Tokyo Godfathers, scritto da Keiko Nobumoto, che diventa il film più costoso tra quelli diretti da Kon fino a quel momento.
Nel 2004 torna per un breve periodo a lavorare i tv, realizzando i 13 episodi della serie animata Paranoia Agent, creata sviluppando alcune delle idee scartate per i suoi precedenti progetti. Nel 2006 il regista riesce finalmente a pubblicare Paprika, suo ultimo lungometraggio e considerato da molti il suo più grande successo sia per il riconoscimento internazionale che per l’impatto culturale e artistico.
Nei suoi ultimi anni di vita lavora a The Dream Machine, ma la diagnosi di un cancro al pancreas allo stadio terminale, costringendolo a lasciare il progetto incompiuto, a ritirarsi dalla scena e a passare i suoi ultimi giorni in casa con la moglie. Il maestro Satoshi Kon si spegne il 24 agosto 2010 a soli 46 anni, lasciando un vuoto incolmabile e una struggente lettera d’addio che si conclude in questo modo:
Ebbene, a tutti coloro che sono rimasti ancora qui con me attraverso questa lunga missiva, grazie.
Satoshi Kon nella sua lettera d’addio
Con il cuore colmo di gratitudine verso tutto ciò che esiste di buono a questo mondo, ora poso la penna.
Vogliate scusarmi, ora devo andare.
Il confine invisibile tra sogno e realtà, il cinema di Satoshi Kon
Un visionario eccentrico, sempre alla ricerca di un connubio ossimorico tra sogno e realtà, fautore di un linguaggio visivo e narrativo mai anonimo. Tanto si può dire di Kon ma probabilmente la parola che più lo descrive è unico, sviluppa realtà e sogno come due facce della stessa medaglia, una non può esistere senza l’altra. Il sogno diventa un mezzo di comprensione e analisi della realtà, i due mondi si ibridano rendendo sfocati i limiti tra gli stessi, in Paprika, come vedremo dopo, il sogno invade la realtà e il confine scompare totalmente, in Perfect Blue invece il vissuto e l’immaginazione non sono più distinguibili l’un l’altro.
Quello di Kon è un cinema realistico ma non in senso tradizionale, non ci troviamo di fronte ad un Rossellini o un Visconti, ma ad un realismo della mente, non insegue la realtà oggettiva, ma si focalizza su come essa viene percepita dai personaggi. Costruire mondi e situazioni totalmente irreali riuscendo però a renderli credibili, mostra il mondo per quello che viene interiorizzato nella mente del personaggio non per come è realmente. Kon è ossessionato dal tema dell’identità e della psicoanalisi, i suoi personaggi spesso vivono una crisi profonda: non sanno più chi sono, o meglio, sono costretti a confrontarsi con versioni di sé che non riconoscono.
Kon non cerca di riprodurre la realtà oggettiva, bensì di rappresentare la realtà come viene vissuta, percepita, ricordata o immaginata dai suoi personaggi. Una duplice illusione: da un lato, il coinvolgimento diretto degli spettatori nella trama; dall’altro lo smarrimento che governa la percezione spettatoriale.
Gianluca Colella su ArteSettima
Meta-cinema e tecnica, lo stile inconfondibile di Kon
Il suo è un cinema che non ha paura di mostrare sé stesso, profondamente meta cinematografico, parla di attori, di spettatori, di finzione e di memoria. Millennium Actress non è altro che un omaggio alla storia del cinema giapponese e una riflessione sul modo in cui il cinema costruisce e conserva le emozioni. Tokyo Godfathers, pur parlando di soggetti reali e realistici, dei senzatetto, gioca comunque con la coincidenza e la narrazione come strumenti di redenzione.
Dal punto di vista estetico, la sua regia si caratterizza per una fusione tra realismo visivo e surrealismo narrativo. L’animazione diventa uno strumento per esplorare la psiche, la memoria e l’identità. Le sue ambientazioni estremamente dettagliate conferiscono alle sue opere una forte credibilità visiva. Celebre è il suo uso di un montaggio fluido e non lineare che sfocia in ingegnose transizioni visive tra le scene. Anche il suo uso del colore non passa inosservato, lo utilizza spesso per suggerire stati d’animo, tensioni psicologiche e cambi di livello narrativo. Il rosso, ad esempio, è spesso associato a momenti di crisi o rottura dell’identità.
Un vero maestro del surrealismo, dell’erraticità del racconto, della fuggevolezza della memoria, della mutevolezza della realtà che mai sembra essere ciò che è, portando lo spettatore a intraprendere un viaggio i cui limiti sono assolutamente sconosciuti, sconfinando nell’onirico e nel fantastico nonostante il realismo sia però sempre molto presente.
Andrea Tuzio, Collater.al
Kon e l’occidente: Perfect Blue e Aronofsky
Come già detto in precedenza, Perfect Blue non è stato solamente l’esordio alla regia per Kon, la pellicola infatti ha rappresentato l’inizio della poetica caratterizzante delle opere del regista. Il film introduce tutti i temi che hanno pervaso poi la carriera di Kon, seppur non ancora nella forma assunta nelle sue successive pellicole. Perfect Blue segue Mima, una Idol giapponese alle prese con una forte crisi identitaria, che la porta a scindere se stessa dal proprio personaggio di idol, arrivando ad avere allucinazioni così forti da non le permette di distinguere reale e immaginazione.
Il doppio, il perturbante e la condensazione onirica sono le colonne portanti dell’intero film.
Artesettima
A distanza di due anni, Darren Aronofsky acquisisce i diritti dell’opera di Kon, perché, fortemente ispirato dalla stessa, decide di volerla omaggiare nel suo prossimo film, Il cigno nero. Le due pellicole condividono una profonda esplorazione dell’inconscio, della discesa nella follia e della perdita di identità, oltre ad un montaggio rapido e spezzato per rappresentare la frammentazione mentale dei protagonisti e la distorsione della realtà. Le citazioni non finiscono con Il cigno nero però, Aronofsky infatti riprende una scena emblematica del film di Kon nel film Requiem for a Dream: la vasca da bagno, da una parte Marion in Requiem for a Dream, dall’altra Mima in Perfect Blue, entrambe si immergono nella vasca da bagno, in una metafora visiva dove l’acqua sporca simboleggia la purificazione e la confusione tra realtà e illusione.
Sognando un sogno: copia o pura coincidenza?
Passiamo dall’inizio alla fine, dal primo all’ultimo film del maestro Satoshi Kon, da Perfect Blue a Paprika. Paprika segna, non volontariamente, la fine della carriera cinematografica di Kon, un film che riassume perfettamente tutto ciò che abbiamo detto e visto fino ad ora, confine tra sogno e realtà, identità e alter ego, psicoanalisi e subconscio, è l’opera più matura e completa del regista.
La storia segue la psicoterapeuta Atsuko Chiba, che attraverso l’utilizzo di un futuristico dispositivo chiamato DC mini è in grado di entrare nei sogni dei pazienti. Quando però il dispositivo viene rubato il confine tra realtà e sogno inizia a vacillare e Paprika, ovvero l’alter ego della dottoressa Chiba, dovrà insieme alla sua squadra recuperare il dispositivo prima che sia troppo tardi. I legami con uno dei più celebri film occidentali vengono spontanei, stiamo ovviamente parlando di Inception di Christopher Nolan.
Paprika e Inception, similitudini e differenze
I due registi rappresentano il sogno in modo simile ma differente. Per entrambi è un luogo potenzialmente pericoloso dove la distinzione tra realtà e immaginazione è labile. Kon rappresenta il sogno come un territorio fluido e caotico, dove i personaggi si muovono senza soluzione di continuità. In Paprika il sogno rischia di collassare e travolgere il mondo reale.
Nolan invece, propone una visione più strutturata e razionale del sogno. I sogni hanno regole strutturate e precise e i personaggi si muovono in funzione di esse. La realtà viene costantemente messa in discussione, i personaggi spesso non sanno se si trovano in un sogno, rischiano di rimanerci intrappolati. È celebre la scena finale della trottola che gira lasciando lo spettatore in uno stato di ambiguità.
I due registi lavorano in modo simile ma con risultati differenti, da una parte la minaccia è il sogno che subentra nella realtà, dall’altra è l’uomo che rimane intrappolato nel sogno. Sebbene ci siano delle somiglianze, Nolan ha sempre negato influenze dirette da Kon, a differenza di Aronofsky.
Sul sito di Radio IULM potete anche trovare un intervista a Matteo Fumagalli dove si parla appunto del regista Satoshi Kon, qui il link.
Immagine in evidenza: meganerd.it


4 Commento
Lo stinco del drago
Come un pittore farò in modo di arrivare dritto al cuore
Carmelo Baltuzzi
Articolo molto bello e interessante, riferito a capolavori del cinema.
Complimenti alla redazione!!
Satoshi Kon
Grazie Lorenzo-San, bellissime parole! Ti guardo da lassù.
タバコ
Wow. Semplicemente wow.
Difficile trovar parole molto serie
Tenterò di disegnare.