Epigenetica: l’ereditarietà del trauma

È possibile che i traumi che insorgono durante la vita derivino dall’eredità emotiva materna? L’epigenetica si occupa proprio di questo. Nel suo romanzo, Cristina Battocletti, offre un’interpretazione di ampio respiro svincolata dalla rigorosità delle neuroscienze. 

Leggi Tutto : Epigenetica: l’ereditarietà del trauma

Il romanzo

La mamma non ci ha mai insegnato a nuotare perché non lo sapeva fare nemmeno lei” è la frase che appare sul retro del nuovo romanzo di Cristina Battocletti “Epigenetica” edito da La nave di Teseo.

Epigenetica racconta la storia di Maria, donna ormai adulta che però continua ad essere assillata dalla memoria del suo passato familiare, annaspando in un liquido amniotico mortifero fatto di ricordi sedimentati e taglienti, che la riportano ad un’unica figura: la madre. L’incombenza del trauma infantile fa da leitmotiv e si configura come la ragione per cui Maria respinge la sua Anima (in senso junghiano1). Infatti, è come se il liquido pestifero di cui, per ragioni epigenetiche, è portatrice, la condannasse all’incapacità di riappacificarsi con il materno e di riconoscere la sua veste di madre: tutti fattori che la condurranno all’”atto più empio”2: l’abbandono del figlio. Quest’azione non è mossa solo dal rifiuto di una maternità distruttrice, ma anche dall’intento di preservare il figlio da un patrimonio emotivo malsano e fagocitatore.

Al di là dell’intreccio, che oscilla tra il ricordo perturbante dell’infanzia e la combattuta decisione di ritrovare suo figlio, è interessante analizzare in modo ravvicinato la questione epigenetica e il risvolto psicologico che il “materno” esercita nelle donne.

Modificare il DNA senza intaccarne la sequenza

L’affaccio che l’epigenetica ci regala sulla prospettiva umana non può essere limitato alla mera scientificità, si tratta infatti di una convergenza di fattori che influenzano il nascituro ancora prima che questo abbandoni la dimensione uterina. A tal proposito, Fabrizio Benedetti, grande ricercatore nell’ambito delle neuroscienze, sostiene che “l’importanza delle parole che ascoltiamo nel nostro ambiente e della psiche che le riceve viene confermata dall’epigenetica, cioè da quella nuova scienza che studia l’epigenoma, ovvero l’insieme dei fenomeni che modificano il DNA senza intaccarne la sequenza, ma regolandone l’espressione” (F.Benedetti “La Speranza è un farmaco” 2018). 

Il corpo della madre come medium

Questa considerazione si erge sull’idea che vede il corpo della madre come medium, ovvero un trasmettitore delle informazioni provenienti dall’esterno nei confronti del feto, il quale ne assorbe una versione “intorbidita”. La virulenza della rielaborazione materna, che durante la tenera età rimane quiescente nella prole, si manifesterà poi nell’approccio che il futuro individuo avrà alla vita, contaminandone l’identità psico-emotiva. 

Quanto descritto è proprio ciò che accade a Maria nel racconto, dalla prospettiva neuro-scientifica alla lettura psicanalitica. La giovane donna è abbandonata a sé stessa e alla nevrosi, l’unica madre che può avere è lei stessa. L’assenza di autorità innesca un meccanismo di responsabilizzazione che ha una duplice matrice psicologica. Da un lato è frutto dall’eccitazione frenetica dovuta all’egemonia esercitata sui fratelli dei quali si prende cura, dall’altro è connesso al disperato tentativo di sopravvivere. Maria si trova divorata dalla lotta alla sopravvivenza, tanto che questo tedio nei confronti della vita assume la valenza di vera e propria manifestazione della condanna che si abbatte sul “ceppo infestato”, come lei stessa lo chiama.

Epigenetica ante-litteram: la colpa della stirpe nella tragedia greca

Il fil rouge dell’epigenetica, dunque, si intreccia con quello dell’infettività della discendenza. Si osservi come il topos della colpa della stirpe (“génos-γήνος”) affondi le sue radici nella tragedia classica, più specificamente in quella sofoclea di Edipo Re. Qui il contagio, causato dall’immortalità della scelta di Edipo, invade addirittura l’intera città. Insomma, la maledizione della stirpe è talmente infesta da spingersi ben oltre rispetto alla trasmissione epigenetica, chiaramente ignorata  dai Greci, tanto che la critica3 parla di miasmatico “μιάσμα”4 ovvero l’esalazione del sangue contaminato.  

Madri-figlie e Figlie-madri

La vita porta la fanciulla della Battocletti a confrontarsi bruscamente con un aspetto della psiche femminile che l’autrice Clarissa Pinkola Estés chiama “madre interiore”. Questa condizione sovverte o rende ambigua la differenziazione dei ruoli madre-figlia . Si pensi alla connotazione che assume un momento intimo che una madre riserva alla propria figlia (come quello del bagno) nel caso in cui sia la figlia a dover accudire la madre. Si tratta esattamente di ciò che fa Maria. L’immagine respingente della nudità materna immersa nella vasca è il risultato della percezione di una figlia turbata dal corpo che l’ha generata, ormai corroso e sfiorito come “lo scheletro di un grosso insetto, un cheloide durissimo e ruvido, pieno di ematomi sulla schiena, sulle braccia e sotto i piedi”. 

Madre orfana di madre: madri di noi stesse

Ricorrendo alla terminologia adottata dalla Pinkola Estés, citata poc’anzi, donne come Maria e sua madre appartengono alla categoria della “madre-bambina” o “madre orfana di madre” in cui “la donna assume l’aspetto di una bambina che fa finta di essere una madre […]e tortura la figlia con mancanza di attenzione” (Donne che corrono con i Lupi 1989). Questo passo illustra lucidamente tutta la drammaticità racchiusa non nel corredo genetico, bensì nel “corredo traumatico” che, secondo l’epigenetica, al momento della nascita ci viene consegnato insieme alla vita e che, con la fioritura di una “maternità interiore”, affiora con veemenza in noi. 

In conclusione, ricollegandosi alla frase citata all’inizio (“La mamma non ci ha mai insegnato a nuotare perché non lo sapeva fare nemmeno lei”), non insegnare ai figli ciò che non si sa , vuol dire non contemplare l’evoluzione del proprio io in relazione ad una nuova veste che ci attende, soprattutto quando i figli siamo noi. 

  1. L’Anima è l’“èros” materno, la terra fertile e vivida. Nella psicanalisi junghiana (appartenente a Carl Gustav Jung, padre della filosofia analitica) si distinguono l’Animus e l’Anima, il maschile e il femminile insito nella psiche di ogni essere umano. Dunque, l’uomo e la donna contengono in sé entrambi gli elementi: ogni donna possiede un’energia maschile e ogni uomo un’energia femminile. In questo caso Maria ha un’attitudine comportamentale scarsamente femminile, molto più vicina al maschile: paradossalmente in lei la parte compensatrice non è l’Animus ma l’Anima. ↩︎
  2. Sono le parole con cui, nella tragedia euripideaMedea, l’eroina tragica si riferisce all’infanticidio da lei compiuto: “ἔργον ἀνοσιώτατον, l’atto più empio” ↩︎
  3. Miasma. Pollution and Purification in Early Greek Religion, Robert Parker 1983 ↩︎
  4. Fetore che esala da materie organiche corrotte, in questo caso dall’immortalità della scelta di Edipo (l’incesto) che si abbatte sulla stirpe e sulla città. Per questo si parla di contaminazione del sangue. ↩︎

Immagine in evidenza: Arthive

Lascia un commento