Riflessioni sulla guerra “per amore della pace”

In una lettera del 13 dicembre 1916 a Fritz Kaufmann, Edith Stein scriveva: “La sua fantasia è abbastanza audace da riuscire a immaginare che ritornerà la pace?“. È da questa domanda che, durante il seminario “Il senso della pace: prospettive sulla semiotica della guerra”, sono scaturite una serie di riflessioni sul significato che la guerra e la pace hanno assunto in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo.

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Il senso della pace

A condurre la discussione è stato il Professor Francesco Galofaro, docente di Semiotica del nostro Ateneo e organizzatore dell’evento. Il seminario, suddiviso in due giornate (il 29 settembre e il 6 ottobre 2023), ha visto il succedersi di diversi interventi riguardanti, ad esempio, il lavoro semiotico inerente alla comunicazione della guerra e alla crisi della infosphere, il linguaggio e i ruoli di genere in situazioni di conflitto. Inoltre, si è analizzato come si assista costantemente ad una brandizzazione del conflitto, riprendendo il linguaggio tipico della pubblicità. Il tutto, facendo riferimento anche al ruolo svolto dai social media nella narrazione del conflitto.

“Pace” e “guerra“: termini asimmetrici

Molto interessanti sono stati anche gli interventi relativi alle definizioni controverse di pace e guerra. Pur sembrando un’analisi banale, questa si è mostrata tanto rivelatoria quanto immediata e facilmente riproponibile: non presuppone altro se non prendere in mano (anche virtualmente) un dizionario. Sotto il termine “pace” compariranno definizioni come “situazione contraria allo stato di guerra”, “condizione di normalità di rapporti, di assenza di guerre e conflitti”, “assenza della stato di guerra”, “freedom from war and violence”, e così via. Sotto quello di “guerra” invece si troveranno definizioni quali “lotta armata fra stati o coalizioni”, “conflitto aperto e dichiarato”, “armed fighting”, e altri…

Come ha messo in evidenza il Professore Juan Alonso Aldama, la pace implica una condizione di opposizione alla guerra. Sebbene quest’ultima risulti essere l’orizzonte di riferimento per una situazione di armonia, non si definisce in relazione a essa. Secondo il Professore Ugo Volli, si ha quindi un problema di asimmetria: i due termini si trovano in contraddizione, ma non in opposizione.

Elicottero militare fotografato in territorio ucraino

La “non-guerra” tra Russia e Ucraina

Eppure, prendendo come esempio la guerra che più ci tocca da vicino da quasi due anni a questa parte, combattuta tra Russia ed Ucraina, si nota che il Presidente della Federazione russa Vladimir Putin il 24 febbraio scorso ha rilasciato un video-messaggio dichiarando che avrebbe intrapreso un’operazione speciale militare. Questa particolare accezione ha dato vita ad un grande dibattito europeo ed extra-europeo sull’importanza del nominalismo riguardante, in questo caso, il conflitto che viene descritto dal Presidente come una “non-guerra”.

Analisi della guerra come agonismo combattente

Ciò su cui ci fa riflettere il Professore Stefano Bartezzaghi, docente presso il nostro Ateneo, è che trattando qualsiasi tipo di conflitto in quanto derivato da una forma di agonismo combattente, esso è soggetto ad un’escalation. Questo significa che la lotta iniziata secondo le motivazioni di una “non-guerra”, nel tempo potrebbe aver modificato il casus belli fino a diventare la contesa stessa. La vittoria assume quindi un valore semantico: l’agonismo ludico del gioco degenera e si arriva ad una situazione in cui non si gioca solo per vincere, ma anche per poter dire di aver vinto.

In questo contesto di lotta sembra che la situazione pacifica sia un grande vantaggio, nonostante non sia esplicitamente dichiarata come fine ultimo. Infatti, il concetto di mantenimento della pace implica inevitabilmente la presenza del conflitto nel passato e nel futuro. La guerra quindi non tende alla pace, ma alla vittoria sull’altro.

Palazzo sventrato di Mariupol, Ucraina: simbolo della distruzione causata dalla guerra
Palazzo sventrato a Mariupol, Ucraina

È possibile l’esistenza della pace senza una condizione di guerra?

Nonostante nella tradizione europea si tenda a distinguere i conflitti “giusti” da quelli “ingiusti”, un detto latino ampiamente condiviso afferma: “Si vis pacem, para bellum”.

Simile era l’idea di Ugo Grozio, padre del giusnaturalismo (corrente filosofica affermata nel XVI secolo). Secondo lo studioso, “la guerra viene intrapresa per amore della pace”, ed è questa convinzione che probabilmente fino ad ora ci ha frenato dal condannare ogni conflitto che sentiamo passare al telegiornale.

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