Concime cap. 10: Questo corpo che è una battaglia

Con lo scoppiare della pandemia abbiamo vissuto uno spaesamento iniziale e ci siamo chiesti se ne saremmo usciti migliori o peggiori. Le domande ora si riversano su due sfere: quella collettiva e quella personale. Da una parte emerge la staticità del potere istituzionale, dall’altra la vibrazione di corpi che si cercano. Insieme ai giornalisti Carmen Vogani e Nello Trocchia sono entrata in questo dualismo, nel tentativo di tracciare una mappa che possa orientare le percezioni e i desideri del nostro presente.

Passato più di un anno dai primi segni di emergenza, non si vede ancora la capacità di comprendere gli errori commessi e di dare una risposta organica. Probabilmente ne usciremo con i problemi di prima, ma più profondi. Eppure stanno nascendo dei nuovi bisogni che possono condurci verso un futuro più sostenibile e desiderabile. Forse le nostre guide saranno proprio quei giovani che nessuno sta ascoltando.

Aridità e disuguaglianze

La pandemia dovrebbe mettere in discussione un certo modello di sviluppo. Tuttavia in Italia eventi simili, che trasformano i territori e i contesti socio-economici, accrescono le disuguaglianze. Si generano gruppi di potere e il gap sociale aumenta. È complicato individuare il concime in un campo così arido e contaminato. Non siamo riusciti a proteggere nemmeno le scuole e il comparto culturale.

Il sistema sanitario ha dimostrato le sue lacune e la sua disorganizzazione. Ammalarsi in alcune regioni o in altre fa la differenza. Il rapporto che si è sviluppato tra l’Unione Europea e le case farmaceutiche nella gestione dei vaccini ha reso evidente la fragilità degli organismi politici. Dipendiamo dalle multinazionali e dalle logiche del profitto. Anche nella somministrazione delle dosi si creano caste e posizioni di potere.

Uno sguardo di speranza va alle realtà territoriali che si stanno organizzando per formulare delle risposte dal basso. È una riflessione ancora in attoe riguarda la strada che vogliamo prendere per imboccare il futuro. Possiamo ripensare a come impegniamo le forze e le risorse, a partire dal tempo. Quanto è il tempo che dedichiamo agli altri?

I semi della conflittualità

La situazione attuale porta a prendere coscienza delle carenze dello Stato e, al contempo, a riconoscere le storie intime e personali di ogni individuo. I bisogni sono cambiati. Dovremmo rivedere il rapporto che abbiamo con gli spazi. Se prima si desiderava una casa grande, ora si preferisce un ambiente anche ristretto ma che abbia un giardino. Forse è necessario aprire siti di coworking invece che negozi o ristoranti. Forse le modalità della scuola e degli spazi culturali devono essere rivisti da zero.

Se c’è un concime oggi, è quello del conflitto. In una condizione di crisi si generano dinamismo e richiesta. Il conflitto è il terreno vitale della democrazia. Durante la crisi si può fare un bilancio personale e collettivo delle abitudini a cui rinunciare e delle priorità indispensabili. Al primo posto c’è il bisogno della socialità, del contatto fisico e dell’incontro. Sentiamo la necessità di quei luoghi in cui si smette di essere singole persone e si diventa un “noi”. I ragazzi adesso non possono abbracciare gli amici o festeggiare il loro compleanno. La  tristezza nei loro occhi è qualcosa con cui le loro famiglie dovranno fare i conti. Questi giovani avranno però sviluppato un anticorpo: il desiderio di una vita migliore.

Concime cap. 10: Questo corpo che è una battaglia
Nello Trocchia
Carmen Vogani

Desiderare il contatto

Durante le conversazioni si esprime spesso la voglia di “tornare alla normalità”. Si percepisce una discontinuità e la quotidianità attuale pare anormale. Invece di giudicare questi pensieri, dovremmo chiederci perché sono così diffusi. Sono delle parole che esprimono un forte bisogno derivato dall’esperienza della pandemia, del lockdown e delle incertezze. Si tratta della normalità degli affetti e del contatto fisico. Questa necessità non è secondaria. Ci persone che vivono questa solitudine con fatica, magari in un monolocale e senza un lavoro.

È importante insegnare ai ragazzi e alle ragazze, ai bambini e alle bambine, qual è il posto che dovrebbero occupare i sentimenti nelle loro giornate. Vedere che nell’assenza del contatto con gli altri stiamo riscoprendo la sfera sentimentale dà fiducia sul futuro. Nel silenzio della propria cameretta si è costretti a pensare e ad avere meno vergogna delle emozioni che si provano. Un anno fa questi ragazzi non sarebbero stati in grado di riflettere con un tale grado di profondità sul bisogno dell’altro.

Sono necessari degli spazi per educare alla vocazione, per riappropriarci di un modo di sentire noi stessi e la nostra fisicità. Il tema del corpo è un tabù e tuttavia è fondamentale parlarne. Rimanendo in casa abbiamo iniziato a osservare di più il nostro corpo e da questo sguardo sono scaturite riflessioni che hanno portato a una maggiore consapevolezza o al malessere. Sono emerse le piccole insicurezze che tutti abbiamo.

Una mappa per il futuro

La necessità di avere un aspetto fisico che permetta di essere accettati è diffusa, ma i corpi sono diversi. Ridurli a un unico modello ideale vuol dire distruggere le persone. Si sviluppa una dinamica che provoca sofferenza e che intacca la sfera delle relazioni.

Possiamo riconoscerci come simili, mantenendo comunque lo specifico che ci contraddistingue. In questo modo ci ritroviamo sullo stesso piano e possiamo camminare insieme. Allo stesso tempo non si deve temere la diversità, nella misura in cui si rivendica la propria originalità e la si mettere in dialogo con quella altrui. I corpi non sono uguali, è necessario riconoscere il valore del diverso. Per esempio, è stata a lungo perseguita l’idea di “integrazione” dei migranti, implicando il fatto che debbano aderire al nostro codice culturale. Quanto è più bella, invece, la parola “multiculturalità”. Siamo differenti e le nostre specificità si possono arricchire a vicenda.

Ci asserragliamo, vogliamo affermare la nostra identità in contrasto rispetto a ciò che reputiamo “altro”. Oggi viviamo un momento di confusione e abbiamo bisogno di capire chi siamo. Partire da noi stessi, però, rafforza i pregiudizi. È chi ci sta accanto che ci dà una misura. Aprirci a questa dimensione è importante. La relazione e il contatto sono ciò che può tracciare una mappa per orientarci nello spaesamento contemporaneo.

Concime torna tra due settimane con un nuovo capitolo

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