A Christmas Carol: una fiaba nella pandemia

È la notte del 24 dicembre, dormo un sonno profondo accarezzata da un frizzante odore di cannella. Le luci dell’albero di Natale si intrufolano tra le serrature della porta, inondando la mia camera di un inquieto misticismo.

Sento un formicolio, sento freddo. Sento vibrare il gelido suono di alcune campane. In punta di piedi si avvicinano, si avvicinano, si avvicinano sempre di più, quando tutto ad un tratto, un bagliore irrompe dalla mia finestra.

Mi sveglio terrorizzata, ho il fiatone, mi avvolgo sotto le coperte, non voglio guardare.

Il suono di quelle campane si fa sempre più intenso, sino a diventare assordante. E poi, tutto ad un tratto, silenzio.

Uno, due, tre secondi e quella calma viene spaccata dal tremolio di una voce, che sussurra: «sono io»

Abbasso la coperta e sbircio con un occhio dalla fessura che mi sono creata.

Non sembra cattivo. È bianco, pallido e ha la testa infuocata, pare quasi un bambino.

«Chi sei?» gli chiedo spaventata.

«Sono lo spirito del Natale passato, del tuo passato».

Mi toglie la coperta, mi prende per mano e mi porta sul davanzale della mia finestra.

«Sei impazzito per caso?! Mi farai morire!» esclamo terrorizzata.

Poggia la sua soffice mano sul mio petto e il mio cuore s’illumina di una luce rosea. La sua manina lascia frammenti della sua polvere magica su tutto il mio corpo.

Iniziamo a volare sulla neve che copre la città, percorriamo ogni strada, ogni vicolo, fino a fermarci in un posto che mi è familiare. Mi trovo difronte alla via che apre la città dei Balocchi, è pieno di persone! C’è chi compra i regali, chi pattina sul ghiaccio, chi mangia un brezel, chi prova guanti e cappelli alle bancarelle, c’è chi canta per strada le solite quattro canzoni di Natale. Ci sono genitori che urlano e bambini che corrono da tutte le parti, ci sono coppie che camminano per mano, ci sono nonni che strapazzano i nipoti, e ci sono ragazzi immobili e incantati dal maestoso albero di Natale, con occhi talmente lucenti da poterlo quasi illuminare.

E poi ci sono io, sul trenino della città, che tra le braccia di mia mamma sorrido e disegno le ombre delle cose che sono state, il ricordo di un Natale che so sfuggirà.

È tempo di andare, dobbiamo fare un altro viaggio. Mi aggrappo al cappello del mio spirito e decolliamo fino alla luna. Raggiunto il punto più alto, lui e il suo berretto si dissolvono nel nulla e precipito nel vuoto fino a sbattere sul pavimento di camera mia.

Di nuovo quella luce, di nuovo quelle campane, questa volta accompagnate da un ghigno tenebroso.

Si spalanca la porta davanti a me e una voce grida: «Entra, avvicinati e vieni a conoscermi, uomo!».

Ad attendermi è un possente signore con una lunga barba arancione ed un fodero senza spada.

Dice di essere lo spirito del Natale presente, dice di toccare la sua veste e di lasciarmi guidare.

Appena poggio la mia mano sul suo vestito il pavimento sotto ai miei piedi scompare e mi sembra di camminare su un vetro trasparente.

Smarrita e diffidente sussurro: «È strano…».

Il gran signore ribatte «Altroché! Non sono tanti i mortali cui è concessa una prospettiva celeste del mondo!».

Sotto di me vedo la città spoglia dall’anima che era solita dominarla. Le strade sono vuote, le persone rinchiuse nelle proprie case.

Silenzio la domenica mattina a messa
Non si chiacchiera
Il cane non abbaia
Il bambino non piange
Il sacerdote non parla
La vecchietta non si lamenta
Normale che non senta
 Silenzio in tutto il condominio
Quelli di sopra non schiamazzano
Quelli di sotto riposano e non bussano con la scopa
Silenzio ai primi appuntamenti ma non c’è imbarazzo, tutto funziona
Ai concerti tra una canzone e l’altra nessuno urla
Suona!

Niente più abbracci, niente più bancarelle, solo un torpore e il sapore di un’acida quiete.

Mi vedo mentre mi sto incamminando verso la casa dei miei nonni, da una parte la mia sorellina, dall’altra mia mamma.

Io, con il sorriso innocente del disegno di quella bambina. Io, con un bruciore che mi incatena: la consapevolezza di un’arma mortale che potrebbe vivere in me e che non posso controllare. Io, sola, con l’ombra delle cose che sono state.

D’un tratto mi ritrovo difronte ad un grande orologio, un ticchettio assordante.
Dalla veste del gran signore vedo spuntare piccole mani raggrinzite. Apre il suo mantello ed ecco due bambini dall’aspetto trasandato e maligno.
Chiedo: «Sono i tuoi figli?».
«Non sono i miei figli, sono i figli dell’uomo. Questo bambino è l’ignoranza; questa bambina è la miseria, guardati da loro!».
Un colpo di campana e lui cade a terra. Ride, ride, continua a ridere, finché non diviene uno scheletro e si dissolve in polvere.
Ad attendermi ora è un’ombra, non parla, non dice nulla.
Le chiedo «Mi trovo in presenza dello spirito del Natale a venire? Voi mi mostrerete le ombre delle cose non ancora accadute, ma che stanno per accadere? È così?».
Non risponde.
Uno, due, tre secondi e mi travolge nel nulla.
Rotolo per una rampa infinita di scale e arrivo ai piedi di alcuni signori in giacca e cravatta. Dicono: «Ah, quando è morto?»
«La notte scorsa mi pare.»
«Pensavo che non sarebbe morto mai, che ne ha fatto dei suoi denari?».

Minuti di silenzio diventano ore, giorni, mesi
E sono anni che non vola una mosca
Che non sbatte una porta
Che non urla un papà quando sbaglia un bambino
Che non fischia un treno
Che non rintocca una campana
Che non si ride a crepapelle
Che non si urla a squarciagola

Eppure hanno fatto goal
Ehi! Guardate che hanno fatto goal!
Ehi! Guardate che hanno fatto goal!
I minuti di silenzio diventano eterni
Se il rumore che hai rimane dentro
Tu non lo esterni
Urlo sempre più forte ma nessuno mi sente
Se il rumore è assordante e il silenzio assente
Abbiamo risolto il problema dell’inquinamento acustico

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