“Generazioni” (2 di 2). Scopri il racconto di Chiara Piani nell’antologia “Pelle”

L’edizione 2018 del contest Giovani Scrittori IULM ha dato alla luce Pelle, l’ennesima antologia di racconti nata in Ateneo per finire sugli scaffali delle librerie (clicca QUI per saperne di più).  

Ed ha, il progetto curato dal prof. Paolo Giovannetti, visto partecipi decine di studenti, che hanno messo a frutto la propria creatività nella stesura delle loro storie.
Racconti d’amore, di fantascienza o semplicemente di fantasia: il risultato è una silloge che accontenta praticamente tutti, a partire da chi ha fatto da regista nella sua impaginazione (QUI la nostra intervista ad uno dei curatori).
Per questo Radio IULM – voce degli studenti, prima che radio delle arti – ha pensato di proporre alcuni dei racconti contenuti in Pelle, con una serie di pubblicazioni sul sito che vi accompagnerà per qualche settimana ogni lunedì, mercoledì e venerdì, fino a luglio inoltrato.

Quello che condividiamo adesso con i lettori di Radio IULM è il racconto di Chiara Piani, l’ultimo della corrente edizione. Si intitola Generazioni e qui sotto in esclusiva trovate l’ultima parte. Buona lettura!

 

GENERAZIONI (2 di 2)

È passato un mese e devo ricordarmi di impostare la sveglia per andare alla clinica, ma mi addormento e me ne dimentico. Solo grazie al cane che salta sul letto e inizia a leccarmi la faccia riesco ad arrivare in tempo. Ogni mese trovo sempre più gente in fila. Non riesco a capire se questo sia a causa dei vecchi che sono sempre di più a richiedere il trattamento o se dipenda dalla crescente disoccupazione dei giovani. Apparentemente così diversi, studenti, giovani lavoratori e disoccupati sono vertebre di un serpente in attesa che continua a mordersi la coda. Che ci facciamo qui? Mentre rifletto tra me e me, passa un uomo che mi saluta.

Lo riconosco solo all’ultimo: è il medico responsabile delle visite di controllo ai donatori a cui periodicamente ci sottopongono. Non lo riconosco subito perché non indossa il camice. È un uomo sulla sessantina, i capelli grigi. Ricambio di fretta il saluto; vedo spuntare dal colletto della camicia un cerotto giallo. Esco e mi dirigo alla macchina. Al parcheggio, vedo un topo schiacciato sull’asfalto. Sembra morto ma non ce la faccio a scavalcarlo, tantomeno voglio spostarlo. Mentre penso a come fare sento alle mie spalle una voce nota:

– Ciao! Da quanto che non ci si vede. Come stai?

– Tutto bene, tu? Com’è che non vieni più, hai trovato lavoro?

– Magari, ho solo cambiato orario. Ultimamente non riesco a dormire; mi rigiro nel letto tutta la notte a pensare e mi addormento quando ormai è quasi ora di svegliarsi. Ho deciso di posticipare il mio turno così almeno riesco a dormire un po’ di più la mattina.

– Hai fatto bene, anch’io ho dei periodi così quando sono in ansia per gli esami. Quindi tu fai il turno dopo il mio?

– Sì, cerco di arrivare comunque presto però così sono tra i primi e poi posso andare in giro a lasciare curriculum. Per ora ancora niente.

– Mi dispiace, se sento qualcosa in giro ti dico.

– Grazie. Ora entro, alla prossima.

– Ultima cosa e ti lascio andare: non è che mi aiuteresti con questa bestia? Mi fa schifo e non riesco a salire in macchina.

Il mio amico si guarda attorno e individua un ramo caduto probabilmente con il temporale di ieri. Lo prende e sposta il ratto. Il sangue sull’asfalto è secco.Dopo due mesi, torno al mio appuntamento. La scorsa volta non hanno potuto procedere perché appena guarita dall’influenza; ero ancora debilitata e sono dovuta tornarmene a casa a mani vuote. Oggi ritorno in forze. Arrivo come sempre in ritardo e mi metto in fila. Poco prima di me c’è una ragazza del mio corso. È con l’infermiera che le sta spiegando la procedura.

– Alla fine della donazione, deve solo andare a quello sportello a mostrare il cerotto e potrà ritirare il voucher, – spiega l’infermiera.

La parola donazione è un chiodo che si infila nel mio cervello, logorandolo. È la prima volta che ci penso perché non ho mai usato questo termine. Il concetto di donazione a pagamento è un boa partito da lontano che ora mi sta stritolando. Soffoco, l’aria è pesante e avvelenata. Ma è troppo tardi e ormai ci sono dentro, anche se annaspo per uscirne. Tutto il verde che c’è nella sala mi opprime con la sua prepotenza. Pervasa da un senso di disgusto me ne vado. Un senso di vuoto e di colpa insieme mi scorrono nelle vene mentre attraverso la strada e suono il campanello dei miei nonni. La nonna ieri si è ammalata ed è a letto con la febbre. Il nonno sta uscendo per fare la spesa, mi chiede di prepararle una camomilla e di farle compagnia. Sul tavolo c’è anche del pane fresco, ne preparo due fette con il burro e la marmellata. Salgo, le porto la camomilla e per me la merenda che mi sono preparata.

– Eccomi nonna, ho fatto tutto. Il nonno torna tra poco.

– Grazie, tesoro; non ce la faccio ancora ad alzarmi. Questa influenza mi ha proprio distrutto. Il prossimo anno lo faccio il vaccino.

– Ma non è niente di grave, adesso l’influenza gira, c’è tanta gente ammalata.

– Sì, ma io non posso ammalarmi, devo fare troppe cose. E poi non è come alla tua età che ci si riprende subito. Che bella età che hai. Io a vent’anni stavo per sposarmi. Ma adesso è cambiato tutto, studia tu che puoi.

Le scosto le coperte per farla alzare un po’ e le tendo la tazza. Ma quando si alza per afferrarla con le sue mani grinzose il mio occhio cade sulla cosa appiccicosa gialla che le ricopre il collo. Appena il nonno torna me ne vado di corsa a casa per raccontare tutto a mia madre. Ma come faccio a spiegarle la situazione senza venire a mia volta scoperta? Cosa dirle perché non capisca che io quelle dinamiche le conosco bene perché ci sono dentro? E come dirle che la nonna si fa trapiantare pelle giovane perché non accetta la sua nuova condizione? Non lo so, improvviserò, non ce la faccio a pensare adesso. Così entro e grido:

– Mamma, dove sei?  Devo dirti una cosa importante.

– Mi sto cambiando, sono appena tornata.

Salgo ed entro nella sua camera, non appena il tempo di mettersi la felpa e di mostrarmi, sulla sua pancia, un cerotto verde marcio grande quanto una mela. Mi fa sorridere rileggere queste mie pagine ora, trent’anni dopo. Qualche giorno fa mentre sistemavo la cantina ho trovato il mio vecchio diario. Così ho deciso di rileggerlo.

– Ho appena parlato con il dottore, tra poco la potremo dimettere, – mi distrae l’infermiera. – Ha fatto bene a farlo subito, tempo fa si aspettavano i sessanta, settant’anni, oggi già a cinquanta lo consigliamo.

– Già, non so come facessero ad aspettare tanto una volta. Mia madre alla mia età era ancora una donatrice. Io già qualche anno fa volevo iniziare la terapia, – le rispondo sorridendo. Richiudo il diario nel cassetto del comodino e osservo compiaciuta le mie mani non ancora avvizzite; allo specchio, una donna superba: il collo ricoperto da grandi cerotti gialli.

(fine)

Parte 1 di 2 – QUI

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