Il regista giapponese Ryusuke Hamaguchi ha conquistato il grande pubblico con il successo titanico di “Drive My Car”, che nel 2022 vinse il Premio Oscar come “miglior film straniero”, categoria in cui gareggiava anche Paolo Sorrentino con il suo “È stata la mano di Dio”. Ma quali sono, invece, le sue opere meno chiacchierate, rimaste fuori dal cono di luce? Ecco quattro perle di cinema che meritano una visione.
“Passion” (2008)
Questo film, che trovate comodamente su RaiPlay, è stata la tesi di laurea del nostro Ryusuke all’Università delle Arti di Tokyo. Al solo pensiero potrebbe scattare nello spettatore qualche complesso di inferiorità più che legittimo, ma, superata questa fase, non resta che godere del talento altrui e immergersi nella visione di questo gioiello di scrittura. Un gruppo di amici si ritrova in un ristorante per una cena di compleanno. Tre uomini e tre donne. Dal momento in cui due di loro annunciano un matrimonio imminente, i comportamenti di ognuno cominciano a cambiare: si scoperchiano desideri latenti e crisi di identità. Incontri notturni nelle rispettive case cambieranno gli equilibri relazionali.
Ma qual è la capacità straordinaria del regista, che si schiude già in questo film d’esordio? Quella di saper toccare le corde più intime dell’umano in maniera limpida e onesta, attraverso una caratterizzazione dei personaggi estremamente credibile e particolareggiata, e una messa in scena profondamente empatica ma non soffocante, calda ma non zuccherosa, elegante e mai patinata. A tutto ciò, si aggiungono dei dialoghi capaci di sondare qualsiasi tipo di relazione e dissezionarla nei suoi risvolti più imprevedibili. Ma questo è soltanto un indizio sbiadito del grande talento di Hamaguchi.
“The Dephts” (2010)
Questa è forse una delle pellicole più adatte per avvicinarsi al regista, perché è quella con l’intreccio narrativo meno minimale, con un ritmo meno disteso rispetto ad altri e che, per certi aspetti, occhieggia anche al crime. Siamo in presenza del suo secondo lungometraggio. Se avete visto e apprezzato “Teorema” di Pasolini o “Blow up” di Antonioni, amerete anche “The Depths”. Il film racconta di un fotografo coreano emergente che lavora per Vogue e fa tappa in Giappone per il matrimonio di un suo vecchio compagno di classe. Tuttavia, la sposa fugge con una donna senza lasciare spiegazioni. Prima di ripartire, allora, il giovane fotografo decide di stare vicino al suo amico caduto nella disperazione, abbassandosi ad aiutarlo nel suo fatiscente studio fotografico per scatti erotici. Il vero motore della storia è segnato dall’ingresso in scena di Ryu, un giovane prostituto che esercita un fascino inconsapevole sul nostro protagonista, dichiaratamente eterosessuale. Il ragazzo diventa un’ossessione, tanto quanto la fotografia, che scuote i due amici in un momento improbabile della loro vita.
Ma la tematica queer, ad Hamaguchi, serve come pretesto per arrivare alle “profondità” suggerite dal titolo. L’irruzione inattesa di Ryu mette alla prova tutti i personaggi, offrendo allo spettatore la cartina tornasole dei loro nodi irrisolti, delle loro paure e delle loro ambizioni. Le difficoltà comunicative fra il giapponese e il coreano vengono gestite in maniera straordinariamente realistica, così come le connessioni che superano le barriere linguistiche. Il film non è distribuito in italiano, ma potete trovarlo su YouTube sottotitolato in inglese o, se siete più fortunati, in qualche rassegna direttamente al cinema.
“Happy Hour” (2015)
Per molti questo è il suo capolavoro. E, in effetti, da dire c’è ben poco. Ogni parola rischia di sporcare questo gioiello narrativo, che si cala nell’amicizia di quattro giovani donne di Tokyo, seguendone le vicende per ben cinque ore di film. Se il minutaggio vi spaventa, rimarrete sorpresi di come il finale vi sembrerà una brusca e ingiusta interruzione. Il film più disteso di Hamaguchi, quello in cui è più piacevole assaporarne la semplice trasparenza figurativa e la raffinatezza narrativa. Un’opera d’ampio respiro che ci porta a vivere insieme a quattro donne molto diverse: un’infermiera divorziata, un’editrice, una casalinga e una disoccupata in fuga dal marito. In questo film corale i personaggi sono scolpiti e rifiniti a tutto tondo, tanto che sembra di conoscerli da sempre. Ci sono alcune lunghe scene girate in piano sequenza che vi lasceranno a bocca aperta per la bellezza e la sincerità che trasmettono. Anche qui, il tema della comunicazione è centrale. Anche qui, come accade in “Drive My Car”, si ragiona sulla performance artistica come rimedio catartico all’incomunicabilità.
Raramente il cinema riesce davvero a raccontare l’amicizia nelle sue complessità come fa “Happy Hour”. Ma quel che è ancora più raro è che un regista uomo abbia una tale empatia da interpretare e dare voce con sorprendente agilità allo sguardo femminile, plasmando personaggi che camminano da soli, senza proiettare su di loro ingessati e invadenti assunti di genere. Le interpretazioni toccano livelli assoluti, e il registro filmico passa dal drammatico al goffo con una fluidità disarmante, evitando sempre di sembrare sgraziato. Il film si trova a pagamento su Chili e Amazon Prime Video.
“Il male non esiste” (2023)
La grandezza di un regista si misura anche dalla sua consapevolezza della giusta durata che una storia necessita per essere raccontata. Infatti, dopo il grande successo di “Drive My Car” (film di tre ore), il nostro Hamaguchi sceglie di mettere alla prova i nuovi seguaci e li disorienta con un film di un’ora e mezza decisamente diverso e piuttosto criptico. Takumi è un tuttofare che conduce assieme alla figlioletta Hana una vita semplice in un paesino immerso nella natura. Hana ha la strana abitudine di avventurarsi nel bosco da sola lontano dal padre. Un giorno giungono da Tokyo i rappresentanti di un’azienda che vorrebbe costruire un glamping nel bosco, che sorgerebbe su un tratto di strada percorso dai cervi. Il finale inquietante ribalterà totalmente l’impressione bucolica e innocente del protagonista che avevamo all’inizio.
Questo è il caso più evidente di un altro carattere che innerva la produzione del regista giapponese: quello di infilare con delicatezza lo straordinario nell’ordinario, fino alla sovrapposizione dei due. Il simbolico è qui uno strumento a doppia lama per sviscerare natura umana e natura fisica, a cui viene attribuita una certa ambiguità di fondo. La pellicola, che andrebbe visionata anche solo per la qualità della fotografia, è disponibile su Amazon Prime Video.
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