Wes Anderson – alla ricerca di una perfezione imperfetta

Il sogno, e l’incubo, più grande di Wes Anderson è sempre stato adattare un racconto del suo eroe letterario, JD Salinger. L’autore de Il giovane Holden non poteva sopportare l’idea che una sua opera potesse essere adattata sul grande schermo. Infatti, sottolineava come la forza delle parole potesse vivere e sopravvivere solo all’interno delle pagine di un romanzo. Come dare forma e sostanza alla voce del narratore, alle sue riflessioni schiette e autentiche? Come tradurre sullo schermo lo sguardo impertinente e disilluso del sedicenne Holden Caulfield?

Eppure, senza la necessità di ricreare adattamenti fedeli delle opere di Salinger, Wes Anderson attinge a piene mani dalle storie di uno degli scrittori simbolo delle letteratura americana. E, andando al di là di quelle immagini stilisticamente simmetriche, dai colori pastello, dall’estetica ricercata ed elegante, si nasconde, seppur ben visibile, uno sguardo sognante su un’infanzia alla quale non si è mai detto veramente addio.

Si entra nella mente e nel cuore di un regista che ha fatto del cinema la sua intera esistenza. “La mia vita risiede nel realizzare film” sarà lui stesso a dichiarare, divenendo uno degli autori più distintivi del cinema contemporaneo. Un carrello laterale, una colonna sonora vintage, dettagli continui su mappe, libri, lettere dai colori vivaci e delicati. Impossibile non riconoscere lo stile così personale e iconico proprio solo di un regista come Wes Anderson.

La creazione di un mondo

Da bambino Wes Anderson aveva due sogni: diventare architetto o scrittore. É indubbiamente affascinante come il regista sia riuscito a convogliare questi desideri infantili in un lavoro che gli ha permesso di dar vita a mondi nati a partire dalla sua immaginazione. Sia che si tratti di ricreare New York (come accade in The Royal Tenenbaums), o che si tratti di progettare un albergo dalle tinte pastello, che si erge tra le montagne di una nazione inventata (si veda Grand Budapest Hotel). Il regista è in grado di costruire, materialmente e idealmente, realtà alternative dove si muovono i suoi bizzarri protagonisti.

Grand Budapest Hotel: le location del film di Wes Anderson
L’iconico Grand Budapest Hotel

In questi mondi, ogni minimo dettaglio appare perfettamente calcolato. I personaggi sembrano muoversi all’interno di articolate ed eleganti case delle bambole, dove anche la carta da parati o i quadri sono sinonimo di una ricerca di stile ben oculata. Dopotutto, Wes Anderson è solito circondarsi di collaboratori di fiducia. Tra questi, il direttore della fotografia Robert Yeoman, che ormai condivide con il regista la capacità di costruire realtà simmetriche e precise. Realtà dove i movimenti di macchina fanno da padrone per stabilire uno stile ancor più personale.

Dalla tecnica dello slow motion a un montaggio “compass point” (con movimenti di novanta gradi della macchina da presa), Wes Anderson rende ben visibile la mano e la presenza del regista dietro la cinepresa. Come se lo stesso Wes fosse un personaggio all’interno della storia. O come se desiderasse ardentemente divenirlo.

Umanità e intimità

I mondi architettati da Wes Anderson divergono dal desiderio di dar vita a un universo filmico realistico e comprensibile. Vi è dell’artificiosità in quelle pareti colorate e in quelle riprese frontali che determinano in maniera così preponderante lo stile iconico del regista. Eppure, questo non basta per descrivere il cinema di un autore la cui arte vive nelle profondità delle immagini che mette in scena. Vi è un momento ben preciso, nei film di Wes Anderson, in cui la realtà fittizia sino a quel momento creata scivola dalle nostre mani. Emerge, in questo modo, l’essenza del suo cinema: l’umanità e l’intimità dei suoi personaggi, il loro profondo e sopito dolore.

The Life Aquatic might not be Wes Anderson's best film. But it is his  greatest. - Vox
Una scena tratta da The Life Aquatic with Steve Zissou

I protagonisti dei suoi film, dall’estroso studente Max Fischer in Rushmore, ai tre fratelli in viaggio in The Darjeeling Limited, nascondono, dietro un’allure apparentemente fredda e distante, una sofferenza che nasce dalla distanza che essi stessi creano con il mondo circostante.

Infatti, sia che si tratti di amori impossibili, come quello tra un giovane studente e la sua insegnante (Rushmore) o di famiglie disfunzionali (difficile scegliere, ma The Royal Tenenbaums è forte l’esempio più lampante), i personaggi celano un malessere interiore sotto una corazza fatta di fittizia sicurezza e abiti vintage. Il loro desiderio è essere accettati per quello che sono e per le loro umane debolezze. Ned (Owen Wilson) cerca in tutti i modi di avvicinarsi al padre/idolo Steve Zissou (Bill Murray) ne Le avventure acquatiche di Steve Zissou. Solo una tragedia incombente li rende coscienti dei propri errori e delle proprie mancanze, legandoli indissolubilmente.

Dipingere l’infanzia

Dalle pagine di un libro al palcoscenico di un’opera teatrale, Wes Anderson ci accompagna all’interno di queste storie, tanto corali e caotiche, quanto immensamente umane. Anche se talvolta ci pare di essere in un sogno dai colori pastello, veniamo trasportati, attraverso l’arte immortale dello storytelling, in racconti dove è così semplice ritrovare noi stessi.

I personaggi sono dopotutto cardini del cinema di Wes Anderson. Il regista prende ispirazioni dalla propria vita e dal proprio passato per costruire soggetti bizzarri ed eccentrici, indubbiamente iconici. É l’infanzia ad affascinarlo maggiormente, percependo il richiamo a quell’età pura dove tutto era concesso. Un’età dove i personaggi possono dar voce ai loro pensieri più intimi senza venir giudicati. Questo accade ad esempio in Moonrise Kingdom, che fa propri questi temi così legati all’infanzia e alla ricerca della maturità. Suzy e Sam progettano una meticolosa fuga d’amore, spinti da un sentimento tanto infantile quanto incredibilmente desiderato, tanto da risultare ben più maturi delle loro controparti adulte: i genitori.

MOONRISE KINGDOM - voglio vivere in un film di Wes Anderson
Il cast di Moonrise Kingdom

Così accade anche al giovane protagonista di Rushmore (interpretato da Jason Schwartzman), fortemente risoluto nelle sue scelte di vita e artistiche, dalle tinte autobiografiche tanto care al regista. Con un tocco tra l’ironico e il parodistico metterà in scena, nel finale del film, uno spettacolo teatrale degno di un vero autore cinematografico. Eppure, nel suo essere così eccentrico, è nell’amore che Max Fischer rivela tutte le sue debolezze e richieste di attenzioni, tipiche di un adolescente alla ricerca della sua essenza.

La “gang” di Wes Anderson

In che cosa consiste il successo commerciale e artistico di Wes Anderson? Gli ingredienti sono certamente molti. Da una parte vediamo un regista che ha trovato un linguaggio tanto personale quanto riconoscibile. É certamente legato a forti ispirazioni letterarie e cinematografiche (fra tutti, Robert Altman), pur mantenendo un proprio stile e una propria voce. Inoltre presenta una spiccata abilità nel costruire mondi in cui l’estetica, la simmetria, le tonalità danno vita a un modo di far cinema tipicamente “alla Wes Anderson”.

Ma è la “gang”, appellativo usato dallo stesso regista, che rende il lavoro di Wes Anderson ancora più incredibilmente unico. Primo tra tutti il suo amico e compagno d’infanzia Owen Wilson, con cui ha realizzato il suo primo progetto artistico: il cortometraggio Bottle Rocket del 1992. Il progetto è divenuto soli quattro anni dopo il primo vero film d’esordio del regista, con protagonisti gli stessi fratelli Wilson, Owen e Luke.

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Wes Anderson insieme all’amico Owen Wilson

Non mancano le muse di Wes Anderson, dall’ammaliante Anjelica Huston alla poliedrica Tilda Swinton. E la lista non si esaurisce qui, includendo anche attori del calibro di Willem Dafoe e Jeff Goldblum, e immensi compositori come Alexandre Desplat. Una menzione speciale merita la controparte cinematografica del regista, grande amico e collaboratore, che rende un film di Wes Anderson degno del suo nome: Bill Murray. Come attore protagonista o come semplice comparsa, l’attore ha accompagnato il regista in tutti i suoi estrosi progetti cinematografici.

Dopo splendidi lavori dove il regista ha sfruttato al massimo la tecnica dello stop-motion, dall’adattamento del romanzo di Roald Dahl Fantastic Mr. Fox, alla sua ultima pellicola presentata al Festival di Berlino, l’incantevole Isle of Dogs, Wes è pronto a tornare al cinema. The French Dispatch è pensato come film d’apertura dell’ultimo Festival di Cannes, rimandato causa pandemia. Con un cast corale, la collaborazione di Robert Yeoman e Alexandre Desplat, tante storie che si intersecano, si respira quell’aria tra il malinconico e il pittoresco tipica di Wes Anderson, nella quale siamo più che pronti a immergerci.

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