I personaggi di TimeOut: Steven Bradbury

16 febbraio 2002. Giornata conclusiva delle gare di pattinaggio velocità sui 1000 metri.

Dopo quarti e semifinale, nella stessa giornata viene disputata anche la finale. Alla partenza si presentano in 5: il cinese Li Jiajun, medaglia d’argento 4 anni prima a Nagano, il canadese Turcotte, l’astro nascente appena 16enne Viktor An e il talento di casa, il super favorito Apolo Ohno, 20enne americano da cui tutti aspettavano la medaglia. Il quinto partecipante, in quella finale, era un pattinatore australiano, di nome Steven Bradbury.

L’australiano, con i suoi 29 anni, era il più vecchio in gara e, a giudicare dai tempi delle gare precedenti, anche il più lento. Si può dire che fosse arrivato li quasi per errore, visto che sia ai quarti che in semifinale era passato proprio per degli errori degli avversari. Eppure, alla fine di quella gara Bradbury esce con un’incredibile medaglia d’oro al collo: una medaglia apparentemente immeritata, ma che, data la sua sfortunata carriera, ha il sapore di una dolce rivincita.

Gli esordi di Steven Bradbury

La storia di Bradbury inizia molto prima di quel 16 febbraio, ci riporta al 1991 quando, a 17 anni, viene inserito nella nazionale australiana che partecipa ai campionati mondiali di pattinaggio. Un traguardo già di tutto rispetto per qualsiasi sportivo, soprattutto alla luce del fatto che quell’anno le sfide si sarebbero tenute proprio in Australia, a Sydney.

E se rappresentare la propria nazione in una competizione casalinga è un onore, ancor più incredibile è farlo vincendo una medaglia d’oro, impresa che riesce quell’anno alla staffetta australiana sui 5000 metri: 1000 li correva proprio Bradbury, che si presenta alla prima occasione tra i grandi come un giovane dal futuro brillante.

Dopo delle deludenti Olimpiadi del 92 in cui l’Australia non arriva nemmeno a una medaglia, è nel 1993 a Pechino che Bradbury dimostra a tutti il suo talento.

Steven è nuovamente tra gli staffettisti dopo l’esclusione dell’anno precedente e con lui l’Australia riesce ad aggrapparsi al terzo posto in finale conquistando il bronzo. Sono gli anni migliori per l’australiano che, a soli 20 anni, sta raggiungendo l’equilibrio perfetto tra velocità, spericolatezza e quel briciolo di esperienza che lo proietta immediatamente a essere considerato uno dei migliori pattinatori del momento nonché favoritissimo in vista delle successive di Olimpiadi, quelle di Norvegia 1994.

Da 4 a 1. Storia di un cambiamento

Bradbury è maturato ed è consapevole dei propri mezzi al punto da provare il salto di categoria: non avrebbe più gareggiato solamente come parte di una squadra di 4 pattinatori, dove aveva già dimostrato il suo valore, ma decise di scrivere la propria storia nel pattinaggio individuale partecipando in quella stessa Olimpiade anche alle gare dei 500 e dei 1000 metri, dove era per tutti il grande favorito.

L’australiano arrivava, d’altronde, a soli 20 anni con al collo già una medaglia d’oro e una di bronzo, a cui si aggiunse l’ennesima medaglia, questa volta d’argento, conquistata con la staffetta australiana, ormai affermata nel panorama del pattinaggio. Era tutto pronto, quindi, per la sua conferma anche nelle gare individuali, ma è proprio qui che la storia inizia ad andare storta per il povero Steven.

È 1994 e a Montreal, in Canada, si tiene la Coppa del Mondo di Short Track. Bradbury è li da favorito, deciso a mantenere le aspettative e a dominare la sua gara, i 1000 metri, prima dei quali avrebbe però partecipato alla gara sui 1500.

Tutto regolare, sembra: Bradbury è in lotta per il secondo posto in una sfida agguerrita con l’italiano Mirko Vuillermin. Le immagini mostrano sorpassi e controsorpassi tra i 2 pattinatori che non si risparmiano, quando, in curva, l’italiano scivola, portando con sé l’australiano. Basta poco per capire che quella non è una caduta come tutte le altre. Si, perché Bradbury, cadendo sopra l’italiano, ne colpisce la lama del pattino, che lo trafigge di netto, da parte a parte, recidendo l’arteria femorale. Steven viene soccorso d’emergenza, ma la ferita è talmente profonda che Bradbury perde in poco tempo 4 litri di sangue, arrivando vicino alla morte.

La situazione è tragica: ci vollero ben 111 punti di sutura per ricostruire la gamba nel punto in cui era stata perforata e successivamente, al pattinatore, ci vollero ben 18 mesi di riabilitazione per tornare ad avere forza sufficiente, ma Bradbury, da quel giorno, non sarà più lo stesso.

Rialzarsi da terra

Il dramma di Steven è senza fine. Lui, ormai ex talento da tutti indicato come stella del pattinaggio, aveva perso tutto in quel tragico incidente, ma da guerriero quale dimostra di essere, non si perde d’animo e torna in pista appena possibile. Si allena duramente per tornare ai suoi livelli, si allena per dimostrare al mondo e a se stesso di esserci ancora e riesce a rientrare tra i qualificati alle Olimpiadi invernali del 1998 a Nagano, dove però uscirà sconfitto dopo una pessima prestazione.

E nel 2000 arriva il colpo di grazia: in allenamento, Bradbury cade andando a sbattere il collo contro la balaustra: l’impatto è forte abbastanza per causargli la rottura di 2 vertebre cervicali. Steven si chiude in se stesso e passa 2 mesi a rimuginare sulla sua carriera e sul suo futuro, a chiedersi se valesse veramente la pena di continuare.

E alla fine si convince: avrebbe partecipato alle Olimpiadi per l’ultima volta. Dopo anni di sfortune, sofferenze, infortuni e cadute, non si sarebbe mai perdonato l’arrendersi sul più bello. 

Ed eccoci qui. Febbraio 2002, Salt Lake City.

L’ultima occasione

Il 13 febbraio iniziano le batterie di qualificazione di short track sui 1000 metri. Bradbury dà tutto se stesso e passa, primo classificato, con un tempo che però non sarebbe mai bastato per impensierire i favoriti.

Ma qui inizia la favola che tutti conosciamo. Ai quarti Bradbury arriva terzo, correndo un tempo migliore delle batterie, ma una inaspettata squalifica del primo classificato lo proietta in semifinale. Qui Steven è sempre dietro, prudente, cauto: visto il suo passato, preferisce rimanere in piedi che provare il sorpasso, vedendosi ormai eliminato. Ma alla lunga, questa scelta premia: cadono tutti, o quasi, e per l’australiano si aprono le porte della finale, che, come ormai sappiamo, vincerà clamorosamente. 

Dopo una gara passata a guardare da dietro i 4 favoriti darsi guerra, all’ultimo giro l’australiano li vede arrivare a distruggersi l’un l’altro, cadendo incredibilmente a pochi metri dal traguardo, permettendo a Steven Bradbury di vincere un oro storico, il primo oro alle olimpiadi invernali di un atleta australiano. 

Un oro vinto non dal più forte ma da chi non si è mai arreso. Un oro alla carriera che lo ripaga di tutte le sfortune subite ingiustamente. Come dirà poi lui stesso “non credo di aver vinto l’oro con quel minuto e mezzo di corsa. L’ho vinto dopo un decennio di calvario”. Un calvario che, alla fine, è stato ricompensato con la vittoria più immeritata ma allo stesso tempo meritata della storia dello sport.


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