Catalogna nel caos, le proteste continuano

Centinaia di migliaia di persone si sono riunite nelle piazze catalane per protestare contro i leader indipendentisti accusati di sedizione e appropriazione indebita.

Nonostante l’iniziale natura pacifica delle proteste, la polizia spagnola, inviata ad aiutare i Mossos d’Esquadra (le squadre mobili catalane), è intervenuta duramente contro i manifestanti che hanno risposto con forza per difendere il loro diritto di libera espressione.

La questione sembrava sulla via della risoluzione nel 2017, quando la Generalitat de Catalunya (sistema amministrativo catalano) aveva proposto un Referèndum d’Autodeterminació de Catalunya. Secondo la costituzione spagnola, però, non possono essere svolte votazioni allo scopo di separare una regione dallo stato madre. Da lì il ritiro di materiale anticostituzionale e l’arresto di 14 indipendentisti tra cui alcuni dei funzionari che avevano partecipato direttamente all’organizzazione del referendum del primo ottobre. 
Dopo due anni di custodia cautelare, il 14 ottobre 2019, sono arrivate le durissime condanne con una pena massima di 13 anni di carcere per Oriol Junqueras, l’ex vicepresidente e leader di
Esquerra Republicana. 

Oggi in piazza scendono famiglie con bambini, anziani e ragazzi. 
Gli studenti organizzano le manifestazioni direttamente in università e, proprio durante una di queste parate, alcuni ragazzi italiani (in exchange) sono riusciti a parlare con Carla, una ragazza che ha raccontato quanto tutto questo sia importante per lei.

Suo padre è stato arrestato negli scorsi anni per aver lottato per l’indipendenza e suo nonno è morto per la stessa ragione.

Il vero problema è che non si sentono i punti di contatto con il resto della Spagna e sembra assurdo che si lotti ancora dopo secoli per lo stesso motivo. Non solo la cultura e la storia, ma anche la lingua non fanno parte dell’identità nazionale spagnola e i catalani non capiscono perché debbano essere comandati da un governo che non sentono il loro. 

Gli scontri, ormai, sono anche interni: i protestanti pacifici non ritengono giusto scatenare la violenza e si presentano in piazza portando cartelloni che citano “Siamo persone pacifiche!”. Allo stesso tempo non rinunciano all’attacco di parola: “Stampa internazionale non lasciare i catalani da soli, il governo mafioso spagnolo nega i suoi atti di violenza e l’Europa sta guardando dall’altra parte!
E persino i cartelloni pubblicitari citano “#TodosoSomosBARCELONA

Purtroppo, nonostante le buone intenzioni, le conseguenze non mancano: centinaia di protestanti sono stati feriti e gli arresti sono saliti a 194.
La violenza dei primi giorni che ha portato incendi e sabotaggi di proprietà pubbliche è andata scemando ma non per questo gli animi si sono calmati: domenica 27 ottobre Albert Rivera, leader degli unionisti, ha organizzato una contro-protesta accusando il governo di non-intervento.

Le persone non possono portare i loro figli a scuola, non possono aprire i loro negozi. Abbiamo bisogno che la Spagna protegga i deboli.

Ma i bambini scendono in piazza con i genitori nelle ore più sicure del giorno e gli anziani non si fanno problemi a portare le bandiere catalane anche nelle ore più pericolose, è il caso di un signore di 70 anni che durante le prime notti girava senza paura facendo sentire la sua voce.

La cosa più grave, forse, è la scarsa importanza data a livello internazionale. Certo, non possiamo fare molto da qui, ma come minimo abbiamo il dovere di ascoltare queste voci che da secoli chiedono cambiamenti.

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