“L’odore del latte”(3 di 3). Scopri l’ultima parte del racconto di Francesca Dallaglio nell’antologia “Pelle”

L’edizione 2018 del contest Giovani Scrittori IULM ha dato alla luce Pelle, l’ennesima antologia di racconti nata in Ateneo per finire sugli scaffali delle librerie (clicca QUI per saperne di più).  

Ed ha, il progetto curato dal prof. Paolo Giovannetti, visto partecipi decine di studenti, che hanno messo a frutto la propria creatività nella stesura delle loro storie.
Racconti d’amore, di fantascienza o semplicemente di fantasia: il risultato è una silloge che accontenta praticamente tutti, a partire da chi ha fatto da regista nella sua impaginazione (QUI la nostra intervista ad uno dei curatori).
Per questo Radio IULM – voce degli studenti, prima che radio delle arti – ha pensato di proporre alcuni dei racconti contenuti in Pelle, con una serie di pubblicazioni sul sito che vi accompagnerà per qualche settimana ogni lunedì, mercoledì e venerdì, fino a luglio inoltrato.

Quello che condividiamo adesso con i lettori di Radio IULM è il racconto di Francesca Dallaglio. Si intitola L’odore del latte e qui sotto in esclusiva trovate l’ultima parte. Buona lettura!

 

 

L’ODORE DEL LATTE (3 di 3)

Leo era seduto sul bordo della vasca. Mi teneva la mano. La mia tremava. Lo guardai negli occhi. Lui annuì. Sfilai la mano dalla sua, presi la spugna e iniziai a sfregarmi piano il braccio destro. Lui sorrideva, incoraggiante. Inconsciamente, senza nemmeno rendermene conto, iniziai a contare tra me e me i giri che compiva la spugna. Leo sembrò capirlo prima ancora di me.

– Fermati! Ricomincia, senza contare. –

A quel punto mi tremavano entrambe le mani. Riprovai. Riuscii a lavare un intero braccio senza contare, ma ricominciai una volta arrivata alla spalla. Lui mi tolse la spugna di mano e frugò nei miei occhi coi suoi. Non potevo sostenere il suo sguardo.

– Ti prego. Ti prego, devi provarci. –

Restai in silenzio per un po’, fissando le mie ginocchia magre che affioravano dall’acqua.

– Non posso. –

– Amore, ne abbiamo già parlato. Tu sei forte abbastanza. Non devi permettere a questa cosa di sopraffarti. –

Sapevo che non dovevo. Sapevo di aver usato quel metodo per smettere di farmi del male. Avevo sempre saputo che non si sconfigge un mostro con un altro mostro. Ma mi era sembrato l’unico modo possibile. Contare per rimanere concentrata. Per non perdere il controllo. Per non squarciarmi la pelle. Ma a quel punto era ormai chiaro che fosse la mia nuova abitudine a continuare a ferirmi, seppur in modo meno visibile, e più subdolamente. Se all’inizio la mia pelle era per me oggetto di disgusto, qualcosa da punire e purificare, ora era la gabbia che mi intrappolava e mi costringeva a curarla affinché ciò che era capitato in passato non accadesse mai più. Questa attenzione morbosa si era estesa piano piano a ogni aspetto della mia vita, forzandomi a ponderare ogni mio gesto, fino al più insignificante, al punto che ogni minima azione mi costava uno sforzo sovrumano. Leo ne risentiva quasi quanto me. 

Erano passati due anni dall’incidente. Lui le aveva provate tutte. Era stato meraviglioso. Ma niente sembrava riuscire a farmi tornare quella di prima. Non mi ero più ripresa, ed entrambi iniziavamo a smettere di credere che ci sarei mai riuscita. Tuttavia, lui continuava a starmi vicino. Lo vedevo spegnersi ogni giorno di più, insieme a me. E questo mi feriva più di tutto il resto. Ero come un’ombra scura che lo soffocava, eppure lui si rifiutava di lasciarmi. Alzai finalmente gli occhi, e la sua espressione mi fece a pezzi. Mi afferrò entrambe le mani e le strinse forte tra le sue.

– Parlami. Parlami. Io sono qui per te, sempre. –

Guardandolo negli occhi seppi che era vero, e mi odiai per questo. Guardo il mio corpo nudo, riflesso a figura intera nello specchio del bagno. Sono anni che non ho più quello che si potrebbe definire un aspetto sano. Le gambe scheletriche sostengono a fatica un bacino da cui spuntano due anche spigolose. Sopra le costole, le ombre di quelli che un tempo erano due seni sodi. Corona il tutto un viso dai tratti pungenti, la mascella e gli zigomi sporgenti, incorniciato da lunghi capelli sfibrati. La pelle del mio corpo è priva di imperfezioni, se si escludono le cicatrici e le rughe premature che mi solcano il viso. Ma nessuno scrub o crema al mondo può nascondere il mio colorito malsano, né i miei occhi tormentati, cerchiati da occhiaie violacee. 

Quando la tua pelle è il centro della tua esistenza, dimentichi di prestare attenzione a tutto il resto. Dimentichi di mangiare tre volte al giorno. Quando conti i passi per spostarti dal letto alla doccia, dimentichi che sono passati mesi dall’ultima volta che sei uscita di casa. Quando la tua vita si riduce a questo, dimentichi anche di essere ancora viva. E diventi nient’altro che un guscio vuoto. Distolgo gli occhi dallo specchio, mi chino e apro al massimo il rubinetto dell’acqua calda. Mi siedo sul bordo, aspettando che la vasca si riempia. Poso accanto a me il contenuto del pacchetto. Aprii gli occhi nel buio. Sbattei le palpebre tre volte prima di girarmi verso Leo per controllare che stesse dormendo. Il blando sonnifero che avevo aggiunto alla sua tisana aveva fatto effetto. Non aveva mai avuto il sonno leggero, prima. Un altro regalo degli ultimi due anni. Lentamente scivolai fuori dalle lenzuola. Uscii e chiusi la porta. Entrai nella stanza degli ospiti, tirai fuori da sotto il letto la valigia, lo zaino e le scarpe. Mentre le allacciavo mi resi conto che stavo contando i movimenti delle mie dita, e mi sentii più sicura che mai della mia decisione.

Avevo tentato di convincere Leo a lasciarmi, l’avevo pregato, e quando mi ero accorta che le mie suppliche non stavano facendo effetto l’avevo insultato, gli avevo mentito urlandogli contro che sarei stata finalmente meglio solo senza di lui, nonostante sapessi che se l’avessi perso per me sarebbe stata la fine. Ma lui mi conosceva troppo bene. Non si era lasciato scalfire da nulla di ciò che gli avevo scagliato contro. E io non potevo più sopportare di essere la causa del suo dolore. Di non vederlo più vivere e ridere, per colpa mia. Così avevo deciso. Ed era stata la decisione più sofferta di tutta la mia vita. Avevo preparato tutto quando lui era al lavoro. Mi ero curata di comprare i biglietti del treno direttamente in stazione, per non lasciare tracce. Avevo preso accordi con una parente che mi avrebbe lasciata rimanere quanto volevo nell’appartamento sfitto in cui era vissuta la madre morta. Avevo ritirato i contanti in banca quella stessa mattina, cosicché lui non avesse il tempo di capire le mie intenzioni controllando l’estratto conto. Presi la lettera dalla tasca esterna dello zaino. Dentro c’era tutto quello che avevo bisogno lui sapesse. Lasciai i bagagli fuori dalla porta e rientrai in camera nostra in punta di piedi. Posai la lettera sul suo comodino e mi chinai su di lui. Gli scostai i capelli dalla fronte con delicatezza e lo baciai.

Riuscii a trattenermi dallo scoppiare a piangere finché non fui fuori di casa. Potrei finirla così. Con un numero tondo e perfetto. Ho inciso nella pelle delle mie braccia dieci tagli verticali, cinque su ogni braccio. Il mio corpo galleggia, abbandonato, nell’acqua color porpora. I capelli mi solleticano il viso. Sento la vita scivolarmi via. Affondo la lama nella carne un’undicesima volta. Resto ad osservare quest’ultimo taglio, e mi sembra il più perfetto fra tutti. Ora li vedo. Seduto sul bordo della vasca, Leo mi guarda. Mi sorride, con la nostra bambina in braccio. Rispondo debolmente al suo sorriso. Ormai non sento più la pressione del sangue che lascia il mio corpo. Lei solleva le palpebre minuscole per un attimo. Ha i miei occhi. Mi sembra di sentire il profumo di lui. È così familiare. Quasi riesco a percepire il suo viso liscio sotto le dita. Sento la morbidezza della pelle della nostra bambina, e l’odore di latte che ho sempre immaginato avrebbe avuto. Avevo ragione. Allungo la mano per raggiungerli.

Sto arrivando, amore.

Aspettami.

(fine)

Parte 1 di 3 – Leggila QUI
Parte 2 di 3– Leggila QUI

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