Electroswing: da Django Reinhardt alla musica Lo-Fi

Musica swing anni ‘40, un beat scandito e incalzante, e tanta creatività: questa è la semplice (ma mai banale) ricetta per un buon electro swing

Per parlare di electro swing è necessario parlare di swing, e risulta impossibile parlare di swing senza nominare Django Reinhardt.
IL nomade dalle dita d’oro, analfabeta, in grado di concepire melodie che assemblavano, sonorità tradizionali gypsy e suoni inediti. Padre spirituale e musicale del genere swing, ispiratore di tutti coloro che si sono avventurati alla scoperta di questo genere e delle sue potenzialità.

Origini e prime manipolazioni

L’electroswing nasce negli anni ‘90, quando l’hip hop andava per la maggiore e si tentava di ibridarlo con più o meno qualunque cosa. Due figure cruciali per lo sviluppo di questo sottogenere sono state Jimmy Luxury ( legato all’hip hop e al digging, a sentire la sua “Cha Cha Cha”) e Mr Scruff (molto più simile all’electroswing contemporaneo, basti pensare alla celeberrima “Get a Move on”), che hanno plasmato questa musica sperimentale delle origini.

Parov Stelar: electroswing senza papillon

Nessuno dei due, però, si è aggiudicato il titolo di “padre dell’electroswing”: questo titolo, infatti, è stato affibbiato a Parov Stelar, eclettico dj austriaco. È riuscito a farsi strada, negli anni, e a definire le linee guida dell’electroswing attraverso brani indimenticabili come All Night e Booty Swing.

La cosa ancor più incredibile è il fatto che questo traguardo non rientrasse in alcun modo nei suoi piani. È infatti frutto di uno sviluppo artistico che ha stupito non solo il pubblico, bensì anche l’autore stesso.
Parov Stelar, appeso al chiodo il tipico papillon da musicista swing, preferisce non dover formalmente rientrare in alcuna categoria. Che sia la sua musica, sempre in continuo mutamento, a parlare al posto suo.

Un ensemble trasformista: i Caravan Palace

Come non parlare del gruppo che ha rivelato un’altra faccia di questo genere imprevedibile: i Caravan Palace.
Francesi, nati nel 2005 come un timido trio di gypsy swing, si sono fatti strada a suon di colonne sonore e piccole esibizioni.
Il successo arriva con le hit Black Betty, cover dei Ram Jam e la composizione originale Lone Digger.

Il loro ultimo album, Chronologic, rivela un netto cambio di rotta rispetto a ciò che il pubblico ha potuto sentire finora. Le sonorità rotonde degli ottoni vengono, nella maggiorparte delle tracce, sostituite da suoni più sintetici e più contemporanei.

In tutte le tracce, specialmente in About You e Miracle, è ancora possibile reperire elementi dell’oramai obsoleto electroswing (voce modulata e il ritmo in quattro quarti) affiancati da elementi che ci riconducono a un miscuglio tra musica lo-fi e vera e propria musica da club.

Risvolti nuovi e sempre più sorprendenti attendono il mondo dell’electroswing: non ci rimane che rimanere sintonizzati, insieme a Jazz don’t mean a thing, e aspettare di scoprire cosa questi incontenibili artisti hanno in serbo per noi.

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