La regista e scrittrice Elisa Fuksas passa dai microfoni di Radio IULM per raccontare in anteprima il suo nuovo film, Marko Polo, in concorso alla 19esima edizione del Festival del Cinema di Roma 2024. Venerdì 23 alle ore 19:30 si terrà un’anteprima speciale all’Anteo Palazzo del Cinema di Milano.
Qui di seguito puoi ascoltare l’intervista integrale:
Benvenuta Elisa, è un piacere averti con noi. Ti va di iniziare subito parlandoci un po’ del film?
Marko Polo doveva chiamarsi “Ama e fai quello che vuoi” e avrebbe dovuto essere il semplice adattamento del libro che ho scritto nel 2020, che si chiamava appunto Ama e fai quello che vuoi e raccontava la mia conversione da atea a cristiana. Il libro andò bene e i miei produttori, ovvero Indiana Productions, mi chiesero: perché non adattare il romanzo e farlo diventare un film? Io purtroppo però non mi sono assolutamente fidata di questa loro intuizione e ho iniziato a complicarmi la vita. Non mi sembrava più interessante parlare di qualcosa che avevo già raccontato, ovvero la mia conversione, per questo cercavo una nuova strada con Elisa Casseri, che poi è anche la sceneggiatrice finita dentro al film. Ho cercato di raccontare qualcos’altro, ovvero come si resta in una scelta, nella fattispecie la religione cattolica. Ma le scelte sono infinite nella vita, può essere una relazione, un’amicizia, il tuo lavoro, tutto quello che praticamente ti fa tirare giù dal letto la mattina e per cui tu vivi. Allora, come si resta in una scelta?
Questo a grandi linee è il percorso molto complesso di questo film, che è mutato ancora nel tempo. Erano passati 5 anni dall’uscita del libro, le cose continuavano a cambiare. Raccontare Dio è qualcosa di molto complicato e rappresentare l’irrappresentabile è ugualmente complicato, in più nel frattempo avevo iniziato anche a scrivere il mio nuovo libro, che poi è uscito e si chiama Buone notizie. Ho poi iniziato a ragionare su altri temi, tutti vicini tra di loro, ovvero il successo, il fallimento, l’ambizione, il consenso e il ruolo dell’artista nel contemporaneo. Tutto questo è finito anche in Marko Polo che nel frattempo era diventato un film non più sulla ricerca di Dio, ma un’investigazione sul fallimento. Il film nasce proprio dall’ammissione di non essere riuscita veramente a fare il film che volevo fare. Ciò che venuto fuori è un completo esperimento, poiché non si può definire in altro modo se non autofiction: ci sono io in scena, c’è la mia famiglia, però ci sono anche gli attori, c’è la mia sceneggiatrice. È pieno di specchi e di riflessioni.
Mi domandavo proprio come mai questa decisione di cambiare completamente rotta, poiché, essendo il film nato come un adattamento di un tuo romanzo, sono passati 5 anni e col tempo cambia la materia e il vissuto, arrivando poi a Marko Polo che è qualcosa di completamente diverso rispetto al libro.
Sì, completamente diverso, però alla fine forse era la forma giusta per una storia così imprendibile, ossia il rapporto con il sacro, con le scelte, con l’interiore. Poi ovviamente il tono è quello della commedia, perché poi più hai sconfitte, disillusioni e disattese, e più l’ironia è quello che ti salva, ed è quello che poi ti dà lo sguardo vero sulle cose. D’altronde l’altra questione che ci poniamo tutti noi protagonisti di questo film è il fatto di condividere un pellegrinaggio da Ancona a Spalato direzione Međugorje. Poi, l’arrivo o meno lì è del tutto irrilevante, però siamo una banda di persone che ha bisogno di verificare delle scelte. Io verifico la mia fede religiosa, ma anche la fede in quello che faccio, ovvero nel cinema, nelle storie che racconto. E soprattutto rifletto su chi stabilisce quando noi abbiamo successo, cioè se si tratta di risultati numerici, di consensi oppure se invece avere successo ha che fare con tutt’altro genere di categorie e valori.
A questo proposito volevo chiederti: Marko Polo è un film molto personale, c’è molto del tuo vissuto. Quanta finzione c’è nel film e quanto invece viene proprio dal tuo personale? Mi viene ad esempio in mente proprio il fallimento legato a un progetto che non è andato in porto, in questo caso il film.
Questo è tutto vero, perché poi in questo viaggio ci sono delle evocazioni di film che sono falliti, versioni di quei film che alla fine non ho fatto. È tutto vero. Quelli erano degli appunti visivi che ho girato negli anni e che mi servivano per capire come costruire delle scene. Non erano destinate a diventare film, quindi sono come degli scarti, anzi più che scarti, degli schizzi, degli embrioni nati da uno studio. Tutto questo è verissimo. Poi chiaro, è finito in un film, però un film che comunque nasce da un fallimento e viene da quella cosa lì e non può non essere altro. Quando ti avvicini a concetti così grandi, il rischio di non riuscire ad afferrarli è altissimo. Tu lavori nel limite, in un senso che hai e dai intorno alle cose e che può comunque emozionare, commuovere e in cui ti puoi riconoscere. Tutti poi abbiamo qualcosa che non è andato nella vita e non è solo la fede in Dio, ma relazioni e compagnia.
È proprio un messaggio universale che nasce proprio dal capire che il fallimento non è veramente un fallimento, ma diventa poi un punto di partenza dalla quale poi ricostruirsi. Il film affronta tanti temi importanti e variegati: la paura della morte, il fallimento, ma tra tutte mi ha colpito molto la crisi di fede, che è un tema molto personale, ma di per sé molto poco trattato nel cinema. Quanto è stato per te importante parlare di questa condizione, di questa crisi in ciò che si crede?
Sai, quando parli di qualcosa che ti è molto vicino e caro, poi ti devi inventare una distanza e paradossalmente la distanza è stata quella di essere dentro al film, perché diventi un personaggio e allora puoi dire liberamente la verità. Usi la finzione, per così dire, anche se poi non c’è niente di finto, però usi una messa in scena per raccontare qualcosa che è molto reale e molto vero. Ho usato tutto quello che sento, che provo, che ho provato, che ho vissuto, che ho cercato, di cui ho dubitato e l’ho riversato lì con estrema sincerità e verità. Poi il risultato, sai, non so misurarlo in quantità, quanto è vero e quanto non è vero. Per me tutto il film è vero comunque.

Tu nel film sei sia regista, che sceneggiatrice e attrice protagonista. C’è qualcuno che ti ha guidato nella scena cinematografica nazionale e internazionale, che ti ha ispirato? Mi viene in mente magari Nanni Moretti o Woody Allen, registi che si immergono a 360 gradi nei loro progetti anche come attori.
Certo, sicuramente quelli sono riferimenti a cui neanche pensi perché sono interiorizzati avendo fatto la storia del cinema ma anche del pensiero della società. Sono dei riferimenti proprio per tutti, quindi sicuramente. Detto questo, quando tu fai qualcosa del genere, ti devi un po’ obbligare a dimenticare tutto quello che c’è stato prima, perché sennò non riesci. Ma la differenza rispetto a questi due grandi autori è che tutta questa storia nasce da un libro che era pura autofiction. Quindi quello che poi ho portato nel film è l’autofiction. C’è la differenza perché ci sono io ma non sono un’attrice, sono io ma ovviamente con delle differenze perché poi siamo sempre qualcos’altro davanti alla macchina da presa. Sono con la mia famiglia, sono con la mia sceneggiatrice, sono con l’attore del film che non ho più fatto e che però mi porto in pellegrinaggio. E poi le scene con gli attori, per esempio con Vincenzo Nemolato e Barbara Alberti, servivano anche a me stessa per capire se io potessi fare l’attrice di quei film che poi non ho più fatto. Tutto sommato alla fine Marko Polo è veramente un viaggio, un’avventura alla ricerca di senso e di nient’altro. Che poi il senso è ciò che conta nella vita.
Ma invece se passiamo un attimo ai personaggi del film, sicuramente il personaggio che rimane più impresso è quello di Flavio Furno, l’attore protagonista del film fallito con questa maschera che richiama chiaramente il teatro greco. Ci racconti un po’ come è nato questo personaggio che di fatto rappresenta la linea comica del film?
Flavio interpreta il ruolo dell’attore principale insieme a Iaia Forte, che si presenterà dopo sottoforma di apparizione, una madonna anche lei comica e un po’ epica. Flavio deve portare avanti tutto quello che è commedia ma anche tragico, perché le due cose sono spesso insieme. È l’attore del film che non si è fatto, l’attore che non si sente riconosciuto, l’attore che non ha successo e che distrattamente lo cerca. L’attore è proprio quello che subisce di più la sconfitta dell’insuccesso, perché banalmente un attore che nessuno riconosce ha dei problemi. Poi, di nuovo, che significa? Che vuole dire attore famosissimo? La solita questione che è declinata in tutti i personaggi, chi decide, chi stabilisce quando noi abbiamo successo? Che vuol dire stare nel mondo? E allora è lui, povero, che si fa carico di questo fardello infernale che è il mondo. Il mondo ci vede o non ci vede e lui si sente invisibile. Lui usa la maschera per sottolineare che è invisibile e paradossalmente affermare quanto invece è potente la sua presenza, perché poi quella maschera è molto iconica se vuoi.

Alla fine lui ha un impatto, anche con la maschera riesce a suscitare delle emozioni importanti nei personaggi, quindi non lo blocca nel suo essere personaggio.
No, lo potenzia, gli dà come un superpotere il fatto di essere sparito. Non ha più il volto ma diventa qualcos’altro e questa cosa è molto forte. Tra l’altro abbiamo avuto anche una discussione sul set per una scena molto lunga dove lui fa un finto provino, dice delle battute di un film ma si capisce che sono battute di un ruolo più che secondario. Io arrivo e inizia questo dialogo sul successo e su chi stabilisce quando è effettivamente arrivato il momento in cui tu hai successo. Lui voleva fare quella scena senza maschera, perché secondo lui era più forte e io invece gli ho detto assolutamente no, tieni la maschera. Con la maschera lui diventa molto potente, riesce a occupare tutto lui con la maschera e quasi te lo immagini il suo volto.
Marko Polo uscirà come evento speciale distribuito da Fandango il 26, 27 e 28 maggio, mentre prima si terranno tutta una serie di anteprime nelle principali città italiane. Venerdì 23 maggio alle 19:30 si terrà l’anteprima di Milano all’Anteo Palazzo del Cinema. In sala sarà presente la regista Elisa Fuksas insieme al cast Iaia Forte, Lavinia Fuksas e la cantautrice Maria Antonietta, moderati dal giornalista Mattia Carzaniga.
Il trailer del film è disponibile qui.
Immagine in evidenza: Ufficio Stampa The Rumors