Luci basse, folla compatta, occhi lucidi. È iniziato così il live sold out di Chiello all’Alcatraz di Milano, Domenica 11 Maggio. Nessuna spettacolarizzazione, nessuna entrata trionfale. Solo lui, Chiello, che apre con Amici Stretti come si apre una ferita: senza anestesia.
Non solo un brano, ma una dichiarazione. “Se siete qui, è perché capite.” E il pubblico capiva davvero. Ogni verso restituito a memoria, non per idolatria, ma per identificazione. Nessun distacco tra palco e platea: solo un’onda emotiva che andava e tornava, come il mare che Chiello canta in Acqua Salata.
Quello che è successo dopo è difficile da raccontare con distacco. Perché Chiello, sul palco, non interpreta: si consegna al pubblico. Un’ora e mezza in cui ha lasciato che la musica parlasse dove le parole normali non bastano. Un concerto? No. Uno sfogo collettivo.
Scarabocchi su pelle viva
In scaletta i brani di Scarabocchi: Scintille, Pirati, Malibù, si sono mescolati senza fatica ai pezzi più amati, da Acqua Salata a Quanto ti vorrei. Un vero un attraversamento emotivo nel mondo di Chiello.
Ma la forza non stava nei titoli, stava nella voce.
Una voce non sempre pulita, a volte impastata, sporca di emozione. Vera.
E in quell’imperfezione stava la magia.
Alcune canzoni, le canta piano, lasciandole colare nel silenzio.
Altre esplodono in mezzo a luci stroboscopiche e mosse convulse.
Poi all’improvviso, un velo nero scende tra lui e il pubblico, trasformandosi in schermo: fiamme, insetti.
il volto di Chiello proiettato come in un sogno lucido. Un gesto scenico potente che non distoglie, ma amplifica. Perché qui tutto è costruito per restituire emozione, non per mostrarla.
È teatro visivo e rituale punk allo stesso tempo.
Il pubblico lo segue ovunque. Urla, sviene, piange.
Ogni pezzo è un flashback, ogni strofa una confessione, ogni ritornello una cicatrice aperta che smette di far male solo quando viene cantata insieme a chi l’ha capita davvero.

Gli ospiti del live: Rose Villain e Achille Lauro
A metà live entrano Rose Villain e Achille Lauro, unici featuring di Scarabocchi. Ma non sono lì per fare scena: condividono qualcosa. Con Rose canta I miei occhi erano i tuoi: lo scambio è complice, sincero. Non showbiz, ma rispetto. Lei lo aveva definito “il suo artista preferito” a Sanremo e stasera non ha bisogno di ripeterlo.
Lauro invece porta l’energia di Succo d’ananas, poi sparisce lasciando una frase che suona come una profezia: “Questo ragazzo farà grandi cose, ricordatevi queste parole.” Ma Chiello non vuole fare “grandi cose”. Vuole fare cose vere. E basta questo per renderle grandi.
Un autore che si consuma, un performer che si salva
In platea si vedono Ariete, Greg Willen, Sapo Bully. Nessuna parata di celebrity: solo amici, artisti, gente che lo conosce da prima, da quando era solo Rocco e urlava nei garage. Ed è proprio Rocco quello che vediamo ancora, nonostante tutto: un ragazzo che si lascia possedere dalle canzoni che scrive. Che non ha bisogno di intermezzi, monologhi o pose. Solo un microfono e la verità addosso.
Su Malibù cambia il testo, inventa, prega: “Salvami tu, bambin Gesù”. È teatrale, sì. Ma non costruito. È un’estetica dell’improvvisazione, della fragilità esposta come un valore. Quando annuncia l’ultimo brano, è esausto. L’Alcatraz è un forno e lui non si è mai fermato, né ha mai smesso di fumare. Poi sparisce. Niente bis. Solo silenzio. Le luci si riaccendono come un pugno negli occhi. Il sogno si dissolve.
Conclusioni: Oltre il tour, oltre il palco, un modo di stare al mondo
Chiello non è un artista da playlist: è da ascolto integrale, da immersione. Il suo tour, partito da Senigallia e pronto a toccare Firenze, Nonantola, Padova e Venaria Reale, è un viaggio che attraversa città ma soprattutto coscienze. Aprire i concerti è compito di Ceneri, un altro nome che merita attenzione.
Ma ciò che resta, alla fine, è qualcosa che non si può fotografare, né streammare.
Chiello ci ricorda che in un mondo che ci vuole sempre più performanti, lucidi e filtrati, c’è ancora spazio per la fragilità, per la voce rotta, per la bellezza delle cose imperfette.
E allora forse il suo vero messaggio è proprio questo:
che la musica non è un prodotto da consumare, ma un gesto da vivere.
E vivere, davvero, fa sempre un po’ male. Ma ne vale sempre la pena.
Di seguito qualche mio scatto del live:



Immagine in Evidenza: Alcatraz