Irene Facheris a Radio IULM: perché oggi protestare è più che mai necessario?

Viviamo in un momento storico in cui le proteste di piazza, in particolare grazie alle generazioni giovani, stanno tornando a coprire su scala internazionale un ruolo cruciale nell’equilibrio e nel dibattito politici e sociali. Basti citare, tra le notizie di cronaca più menzionate nell’ultimo mese, le animate manifestazioni di sabato 5 aprile 2025 in numerose località degli Stati Uniti d’America contro la politica interna ed estera promossa dal Presidente repubblicano Donald Trump o i cortei che hanno attraversato le vie di molte città d’Italia mercoledì 2 e giovedì 3 aprile 2025, a seguito dei femminicidi di Sara Campanella e Ilaria Sula. Tutto ciò richiama ciascuno di noi all’irrevocabile urgenza di cambiamenti socioculturali profondi: talvolta, però, può sollevare anche alcuni interrogativi. Per questo motivo, i microfoni di Radio IULM hanno ospitato Irene Facheris, intervistata da Ludovica Pesenti. Insieme abbiamo cercato di comprendere in maniera più approfondita il significato dell’attivismo attuale, come esso si articoli nelle piazze e la sua concreta influenza sulla nostra società.

Alcuni partecipanti alle proteste di massa del 5 aprile 2025 negli USA, in opposizione all’amministrazione di Donald Trump: da The New York Times

Il background di Irene Facheris

Formatrice, attivista, scrittrice e podcaster, dal 2014 Irene Facheris si occupa di soft skills e tematiche di genere. Si è laureata nel 2013 nella facoltà magistrale di Psicologia dei Processi Sociali, Decisionali e dei Comportamenti Economici presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e dal 2014 al 2024 è stata Presidente dell’associazione no profit Bossy, una comunità attiva nella divulgazione e promozione di azioni su temi come gli stereotipi di genere, il sessismo, il femminismo e i diritti LGBTQIA+. Nel 2020, inoltre, è stata riconosciuta dal Sole 24 Ore come una delle dieci donne che hanno lasciato il segno e dal Corriere della Sera come una delle centodieci donne dell’anno.  

Irene Facheris, formatrice, attivista, scrittrice e podcaster: da Irene Facheris

Il rapporto tra manifestazione e attivismo online

In un’epoca dominata dai social media e dall’attivismo online, quale valore aggiunto implica scendere fisicamente in piazza? In che modo questo ci plasma, come società, dal punto di vista culturale?

Siamo sempre stati abituati a guardare le persone protestare nelle piazze: solo più recentemente, invece, abbiamo scoperto l’esistenza di una forma di attivismo anche nella dimensione online. In precedenza quest’ultima non esisteva, non vi erano dunque alternative.

Vedere altri individui presenti in luoghi fisici fornisce in maniera diretta la prova di non essere soli. L’attivismo online, d’altro canto, è più inclusivo e accessibile, sormontando discriminazioni e consentendo di essere attori partecipi anche in assenza di alcuni privilegi: eppure è frequente la sensazione di stare agendo in solitaria, di fronte alla telecamera del proprio dispositivo.

Essere attivisti “in rete” è utile a rendere le informazioni più facilmente assimilabili: spesso, infatti, le manifestazioni di piazza si concludono ai piedi di palchi dai quali io in primis ho sempre trovato tedioso riuscire ad ascoltare i discorsi pronunciati.

Online, poi, si ha la certezza che i contenuti di un messaggio vengano trasmessi ai propri destinatari (sebbene possano comunque essere interpretati diversamente); la piazza, invece, contiene in sé un’essenza collettiva palpabile e non individuabile altrove.

Infine, l’attivismo tramite media digitali è vantaggioso ai fini dell’apprendimento. Ma, per non perdere speranza, trovarsi in strade gremite di persone produce un effetto che “sfogliare” un carosello di fotografie o di video su Instagram non potrà mai avere.

Protesta tenutasi giovedì 3 aprile 2025, a seguito del femminicidio di Sara Campanella e Ilaria Sula: da Il Post

“Giù le mani!”: le mobilitazioni di massa negli USA anti-Trump

Il 5 aprile 2025 hanno avuto luogo negli USA le più imponenti mobilitazioni contro Donald Trump a partire dal suo insediamento presso lo Studio Ovale, verificatosi lo scorso 20 gennaio. I cittadini si sono riuniti in oltre mille piazze: da New York a Boston, da San Francisco a Portland. Importanti contestazioni sono avvenute parallelamente anche in Canada, Messico e numerose città europee. L’evento principale, tuttavia, si è svolto a Washington, D.C. (capitale degli USA e sede della Casa Bianca), dove erano attese circa 500.000 persone. I dimostranti, al grido di slogan come Hands off! (“Giù le mani!”), sono insorti ai provvedimenti attuati da Trump, quali la gestione dei sussidi della previdenza sociale, i licenziamenti dei dipendenti federali, gli attacchi alle tutele dei consumatori, le politiche contro l’immigrazione e gli attacchi alla comunità transgender. 

Questa si sta configurando come la più grande protesta di un solo giorno negli ultimi anni della storia americana.

Ezra Levin, fondatore di Indivisible (tra i gruppi pianificatori dell’evento)

La solidarietà collettiva

Le manifestazioni negli USA contro l’esecutivo di Trump mostrano una forte reazione popolare alla politica interna ed estera americana. Quanto pensi che contino tali proteste al di là dei confini statunitensi? È importante la creazione di un sentimento di solidarietà transnazionale tra dimostranti?

È un elemento fondamentale che, purtroppo, stiamo perdendo. Ricordo i racconti di mio padre sulle manifestazioni dei sindacati operai negli anni 70 e su come anche numerosi studenti scegliessero di non andare a scuola per prendervi parte. I ragazzi supportavano una causa che non li riguardava strettamente, generando però solidarietà e collettività.

Se cominciassimo a e preoccuparci anche delle problematiche che non ci toccano in prima persona, diventerebbe più semplice risolverle e si creerebbe una rete di supporto reciproco.

Irene Facheris sulla partecipazione alle proteste

Nel caso statunitense, tuttavia, ciò che sta avvenendo sul piano culturale non è in alcun modo distante da noi e sta già travalicando i confini, solcando l’Oceano e giungendo fino a dove ci troviamo. Io, occupandomi di formazione, percepisco sempre più che il lato oscuro della situazione negli USA si stia traducendo altrove, anche qui: con la diffusione della “cultura anti-woke“, le dinamiche americane cominciano a essere presenti anche in Italia (per esempio all’interno delle aziende, che fino a pochi anni fa avevano l’obbligo di sottoscrivere certificazioni per la parità di genere e l’inclusività).

Per concludere: è giusto occuparci di ciò che non ci riguarda direttamente non solo in quanto alla base dei concetti di comunanza e sostegno, ma anche perché tutti siamo sempre più o meno coinvolti in quanto accade intorno a noi.

Manifestanti riunitisi il 5 aprile 2025 a Washington, D.C. contro il governo trumpista: da The Guardian

I femminicidi in Italia

Sara Campanella e Ilaria Sula: sono i nomi delle ennesime vittime di femminicidio, di una società in cui gli uomini non vengono educati al rifiuto e a misurarsi con la libertà di autodeterminazione femminile. Sara è stata aggredita e uccisa il 31 marzo 2025 a Messina da Stefano Argentino, suo collega di corso che da circa due anni la perseguitava; Ilaria Sula il 25 marzo a Roma dall’ex fidanzato Mark Antony Samson (il corpo della giovane è stato rinvenuto il 2 aprile all’interno di una valigia, gettata in un dirupo tra Tivoli e Roma). Si tratta di eventi ormai canonici e che si verificano indipendentemente dall’età, dal livello d’istruzione, dalla collocazione geografica o sociale: eppure essi continuano a succedersi nell’indifferenza generale. Di seguito, i dati sui femminicidi in Italia da gennaio 2025 riportati dall’Osservatorio Femminicidi di La Repubblica.

Dati riguardanti i femminicidi accertati da gennaio 2025 in Italia: da La Repubblica

In migliaia, tra il 2 e il 3 aprile 2025, hanno unito dolore e rabbia nelle piazze italiane. Tra le iniziative principali, da citare è certamente il presidio transfemminista organizzato presso l’Università Sapienza di Roma: siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce, hanno scandito le studentesse e gli studenti.  Il corteo di Milano, promosso dal collettivo Non una di Meno, si è dispiegato dall’Università Statale fino al Tribunale, con cori e cartelli anche a favore dell’introduzione dell’educazione sessuale e affettiva nelle strutture scolastiche.

Per Ilaria, per Sara, per tutte: ci vogliamo vive.

Uno dei motti della protesta

Una piazza non di “invece”, ma di “inoltre”

I cortei nati in Italia dopo i femminicidi di Sara Campanella e Ilaria Sula hanno registrato ancora una volta un impatto significativo, specialmente sulla popolazione più giovane. A volte, però, sembra che le proteste non portino a cambiamenti tangibili, che non si verifichi una reale mobilitazione da parte delle istituzioni e che ciò si riduca a momenti emotivi circoscritti. Secondo te, che ruolo ricopre la piazza nel traslare il dolore privato a una dimensione pubblica e politica? Quali modalità potrebbero innescare processi più strutturali?

Comprendo l’esigenza di esternare rabbia, è un’emozione fisiologica e proficua: ma, come dicevi, si tratta di “momenti” a sé stanti. La piazza non dovrebbe sostituire la rabbia, ma cercare di agire oltre: cosa potremmo fare d’altro? È evidente che non siamo disposti ad accettare tutto questo, ma allora quali proposte concrete avanzare? Si tratta di domande condivise da molte persone, e gran parte di loro decidono di radunarsi anche per manifestare rabbia. A tali interrogativi ritengo debba rispondere chi si occupa di queste tematiche per professione.

Il ruolo maschile nelle manifestazioni femministe

Irene Facheris ha affermato: “Nelle piazze giustamente si parla delle vittime e non dei carnefici nello specifico. Non si tratta, infatti, di una circostanza in cui generare empatia verso il singolo (non deve interessare che l’assassino di una donna praticasse danza o che fosse solito cucinare biscotti).

Vorrei, però, che la riflessione si concentrasse ulteriormente sulla responsabilità maschile, che in piazza vi fosse lo spazio per parlare di come ciò sia un problema di tutti gli uomini: non solamente di quelli violenti, ma anche di coloro che sono convinti non compirebbero mai atti simili. È una questione che riguarda anche chi di loro partecipa alle manifestazioni a supporto delle vittime di femminicidio.”

Non chiedersi in quali situazioni, come individui, si attuino comportamenti patriarcali rende la partecipazione alle proteste un mero atto performativo, con il semplice scopo di dimostrare di essere alleati alla causa, rivelando una miopia rara.

Irene Facheris sulla responsabilità maschile verso la cultura patriarcale
Protesta del 3 aprile contro i femminicidi presso l’Università Sapienza di Roma: da Il Giorno

L’inutilità delle critiche sterili

Parte dell’opinione pubblica accusa le proteste di essere strumentalizzate o semplicemente inefficaci: tu, Irene, come risponderesti a coloro che minimizzano la loro importanza, perché “tanto non cambia nulla”?

Semplice: domanderei ai diretti interessati un elenco dei comportamenti da loro attuati. Negli anni ho imparato che questa possa essere l’unica risposta da parte mia. Il dialogo sarebbe lecito, infatti, qualora si portassero alternative valide: limitarsi a osservare che come si sta agendo non sia sufficiente rimane fine a sé stesso. La critica sterile, non seguita da una proposta, non conduce ad alcuna soluzione.

Una fiumana di dimostranti contro il governo di Trump lungo la 5th Avenue di New York il 5 aprile 2025: da ABC News

Educare per resistere

La consapevolezza nelle riflessioni di Irene Facheris è figlia di una stagione socioculturale in corso e ormai indelebile, di generazioni mosse dal bisogno endemico di farsi voce della storia mentre questa si costruisce intorno a noi. Molti sono sempre più assetati di attualità, desiderano plasmarsi all’interno della realtà per divenire politica con il proprio corpo e le proprie grida, legittimando i vissuti individuali e trasformandoli in atti di vera e propria resistenza collettiva. La divulgazione e l’informazione giocano un ruolo cruciale in questo processo: l’intento di Irene Facheris e di numerosi altri attivisti è analizzare, tradurre le dinamiche del mondo in cui viviamo e renderle fruibili a un pubblico quanto più ampio possibile, educandolo alla libertà di espressione oltre ogni imposizione statale.

Irene Facheris e Flavia Carlini: la voce della piazza

Il dialogo con Irene Facheris risuona anche dei pensieri di diversi autori emergenti: in tal senso, sorge quasi spontaneo il legame con “Noi vogliamo tutto. Cronache da una società indifferente” (2024) dell’attivista politica Flavia Carlini. Una rabbia endemica scorre tra di noi come un liquido mentre, sopra le nostre teste, si agita una sensazione di futuro e cambiamento. Nel suo libro, Flavia Carlini sceglie di narrare episodi biografici e tematiche di interesse personale (come disparità di genere, violenza sessuale e malattia) affinché la memoria si tramuti in un fil rouge alla scoperta del mondo, caratterizzato da una noncuranza di fondo delle istituzioni. Di seguito una citazione da Noi vogliamo tutto, che peraltro racchiude perfettamente l’essenza dell’intera intervista a Irene Facheris.

[…] Questa piazza […] deve oggi diventare luogo politico delle nostre rivendicazioni perché non c’è cambiamento senza verità e non c’è futuro senza memoria.

Flavia Carlini in “Noi vogliamo tutto. Cronache da una società indifferente”

Immagine in evidenza: The New York Times

Autrice e speaker dell’intervista: Ludovica Pesenti; montaggio sonoro: Asia Zampini

Autore

Lascia un commento