Bill Emmott – in Iulm l’ex direttore di The Economist

Scrittore britannico, consulente ed ex direttore del settimanale The Economist, Bill Emmott è stato ospite all’Università Iulm lunedì 5 maggio. La sua lezione, intitolata “My four decades writing about the political economy of globalization”, si è tenuta nella sua madrelingua, l’inglese, con la possibilità di avere una traduzione simultanea. È stata un’occasione per parlare del cambiamento del giornalismo internazionale negli anni attraverso la sua storia personale e la sua esperienza da giornalista. Ecco quello che ci ha raccontato.

Chi è Bill Emmott?

Bill Emmott in Iulm (Ph Arianna Enristi)

Emmott è britannico ma vive attualmente in Irlanda, dove si è trasferito dopo l’entrata in vigore della Brexit. Ora scrive su diversi quotidiani, in Italia collabora con La Stampa. Ha avuto un lungo percorso giornalistico durante il quale si è occupato prettamente di economia e globalizzazione. 

Laureatosi in Philosophy, Politics and Economics all’Università di Oxford, non ha iniziato subito a lavorare ma ha scelto di fare un dottorato in politica francese nella stessa università. Ha deciso poi di fare domanda per lavorare presso il The Economist, domanda che è stata accettata subito ed ha iniziato a lavorare come giovane nell’ufficio di economia dell’Economist a Bruxelles. Il suo francese non era ottimo, ci confessa, ma lo conosceva abbastanza da poter scrivere.

Circa un mese dopo il suo capo gli ha proposto di accompagnarlo al vertice del consiglio europeo a Venezia e ci andò. È in quell’occasione, circondato dai più grandi leader europei, che scopre cosa significa essere un giornalista. Nei suoi due anni di lavoro a Bruxelles ha iniziato a scrivere di mercato, economia e dei primi sforzi di costruire il sistema monetario europeo.

L’economia è alla base dello studio del comportamento umano, mi ha reso curioso del mondo

Bill Emmott

Poi si è spostato a Londra, dove ha imparato il lavoro di gruppo. A 26 anni, però, era convinto di voler lavorare in un ufficio straniero quindi inizia a candidarsi per qualsiasi lavoro, anche se magari non era perfettamente qualificato.

Divenne poi nel 1983, non più un giovane collaboratore, ma un vero e proprio corrispondente inviato a Tokyo per The Economist. Non era qualificato e non sapeva la lingua ma il Giappone era il posto perfetto per i temi che trattava perché era il più grande beneficiario della prima fase della globalizzazione. È proprio da questa esperienza che nasce il libro “The sun also sets. Why Japan will not be number one”. In questo sviluppa la sua visione del Giappone: pensava che il potenziale che le persone vedevano nella nazione fosse completamente sbagliato e che non avrebbe mai potuto superare gli Stati Uniti. Ha scritto questo libro per persuadere gli americani ma è diventato un best seller in Giappone.

Nel 1993 diventa il direttore capo di The Economist e lo rimane fino al 2006. In un periodo in cui la globalizzazione si stava davvero strutturando, ha iniziato a riflettere sulla storia dell’Economist e soprattutto sul suo posizionamento nel cambiamento del mondo di quegli anni.

The Economist: un settimanale di fama globale

The Economist, di cui Bill Emmott è stato direttore, è un settimanale britannico d’informazione politica, finanziaria ed economica di fama internazionale. Nasce nel 1843 grazie a James Wilson, economista e parlamentare britannico che voleva creare una rivista che promuovesse il libero scambio e contrastasse il protezionismo. Infatti, la rivista nasce in un momento storico in cui in Gran Bretagna c’erano leggi protezionistiche che favorivano la produzione locale a scapito del commercio internazionale.

Oggi diventata una rivista di fama mondiale, esce ancora tutte le settimane ed ha un sito ricco di contenuti diversi da newsletter a podcast. Leggere The Economist è un elemento di identificazione e contribuisce a connettere punti di opinione pubblica in paesi differenti.

Le persone leggevano L’Economist per fare parte di una conversazione globale. Negli anni ’90 tra i nostri lettori c’era Bill Gates: lo leggeva per capire il mondo e per capire come Microsoft potesse aprirsi ad un mercato globale

Bill Emmott

Lo stile degli articoli dell’Economist, quando aveva iniziato a lavorare lì, era quello di scrivere articoli brevi e diretti. L’idea era quella di scrivere articoli chiari che non confondessero il lettore con citazioni o troppi aggettivi.  Lui crede che questa fosse una parte molto importante della crescita dell’Economist. In questo modo, la rivista poteva risultare più accessibile anche a chi non è madrelingua inglese. Negli anni non è cambiato molto sotto questo punto di vista perché si è rivelato adatto all’era digitale.

Un’altro elemento che negli anni si è rivelato una forza è il suo modello aziendale: da sempre un misto tra pubblicità e iscrizioni. Il modello di mercato era bilanciato: il 50% del guadagno arrivava dalla pubblicità e l’altro 50% dall’iscrizione. I concorrenti, invece, avevano un modello basato il 90% sulla pubblicità e quindici anni dopo hanno visto il loro modello distruggersi dalle piattaforme tecnologiche. The Economist, invece, aveva una base molto solida di iscrizioni.

Alla domanda se ci fosse qualcosa che renda unico questo settimanale rispetto agli altri, l’ex direttore nomina l’anonimato. Esso è una tradizione del periodico che, fin dalla sua fondazione, ha mantenuto l’anonimato degli autori. Ci rivela che si è riflettuto molto su questa scelta negli anni ma si è deciso poi di mantenerla. Il motivo è semplice: se c’è qualcosa che ti rende diverso e speciale rispetto alla concorrenza bisogna usarla. Oltre al fatto che contribuiva a creare una chiarezza di messaggi e di valori che veniva molto apprezzata dai lettori perché dava un’impressione di neutralità e giusta informazione.

La copertina del The Economist del 3 maggio 2025 da The Economist

Il giornalismo e i suoi cambiamenti

Il giornalismo non è diverso oggi, sarà sempre lo stesso. Quello che è cambiato è l’accesso all’informazione e sicuramente anche il modo di farla. La vera sfida, in questo nuovo contesto, è essere pagati. In tutto questo arriva l’online che bombarda le persone di contenuti, proprio per questo è diventato più difficile convincere le persone della validità delle nostre informazioni.

Se lui dovesse ricominciare oggi la sua carriera, dice in risposta ad una domanda, cercherebbe di essere internazionale come ha sempre tentato di fare e pensa che oggi sarebbe più facile sotto tutti i punti di vista rispetto a 40 anni fa. Utilizzerebbe le conoscenze del mondo per essere un giornalista migliore e i media per esprimere i suoi pensieri, cercando di sfruttare al meglio ogni strumento mediatico, dai podcast a TikTok.

Non manca di ribadire l’importanza che per lui ha la tecnologia in tutti questi processi di cambiamento:

Oggi, noi, quando ci chiediamo qual è il futuro della globalizzazione dobbiamo guardare ogni elemento, soprattutto la tecnologia, che è la forza drenante della globalizzazione

Bill Emmott

Immagine in evidenza: Il Riformista

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