Oggi l’università è vista come un’istituzione moderna, con aule, esami, laboratori, specializzazioni e percorsi sempre più settoriali. Ma il concetto stesso di “università” nasce nel Medioevo, in un’Europa ancora profondamente religiosa, feudale e divisa in regni. In questo contesto nascono i primi centri di istruzione superiore, pensati per formare chierici, giuristi e medici, ma anche per rispondere alla crescente domanda di sapere da parte di una nuova classe sociale urbana in ascesa. L’università medievale è molto diversa da quella di oggi, ma sorprendentemente moderna in alcuni tratti: c’erano esami, “lauree”, stipendi per i docenti, studenti organizzati in corporazioni e persino proteste.
La nascita dell’università medievale
Le prime università nascono in un’Europa che sta cambiando. Dopo l’anno Mille, le città crescono, i commerci si riattivano e si diffonde una nuova sete di conoscenza. In questo clima nascono le prime istituzioni accademiche: Bologna (1088), Parigi (circa 1150), Oxford (1167), seguite da Salamanca, Padova, Cambridge e molte altre. A differenza delle scuole monastiche o delle cattedrali, l’università medievale è un’istituzione corporativa e laica, nel senso che non è necessariamente controllata da un singolo vescovo o monastero, ma organizzata in modo autonomo da docenti e studenti. Il termine stesso, universitas, indicava inizialmente una corporazione di persone unite da un interesse comune: in questo caso, l’insegnamento e l’apprendimento.
Le università medievali erano costituite da facoltà, cioè settori disciplinari. La base comune era la facoltà delle arti liberali, divisa nel trivio (grammatica, retorica, dialettica) e nel quadrivio (aritmetica, geometria, musica, astronomia). Solo dopo aver completato questo ciclo si poteva accedere alle facoltà superiori: teologia, diritto (canonico o civile) e medicina. A seconda della città e dell’epoca, alcune facoltà erano più sviluppate di altre: a Bologna dominava il diritto, a Parigi la teologia, a Salerno la medicina. L’approccio era eminentemente teorico: il metodo scolastico si basava su lettura, commento e disputa. Il testo base veniva letto ad alta voce dal maestro (lectio), seguito da una discussione critica (disputatio) in cui lo studente poteva intervenire e porre domande.
Gli studenti delle università medievali erano principalmente giovani uomini, spesso tra i 14 e i 20 anni, provenienti da famiglie abbienti o da ambienti religiosi. Molti aspiravano alla carriera ecclesiastica o pubblica. Non esistevano esami standardizzati come oggi, ma per ottenere il titolo di baccellierato (una sorta di laurea breve) o di licentia docendi (l’autorizzazione a insegnare) si dovevano sostenere prove pubbliche, come la difesa di una tesi davanti a un collegio di maestri. I titoli venivano conferiti dal papa, dal vescovo o dall’imperatore, a seconda della città e della facoltà.
L’organizzazione interna delle università era sorprendentemente moderna: gli studenti erano divisi in nationes (gruppi per area geografica) e si autogestivano attraverso rappresentanti e statuti. A Bologna, addirittura, l’università era governata dagli studenti, che assumevano e licenziavano i docenti. Questo portava a tensioni continue tra professori e allievi, spesso sfociate in veri e propri scioperi o trasferimenti collettivi (come nel caso della nascita dell’università di Padova da una “fuga” da Bologna). I professori erano stipendiati dalle autorità cittadine o ecclesiastiche e godevano di privilegi legali e fiscali. La figura del maestro universitario cominciò a essere rispettata e riconosciuta, anche se il percorso era tutt’altro che semplice: spesso si dovevano attendere anni per ottenere un incarico stabile.

Vita da studente universitario nel Medioevo
L’immagine dello studente medievale è molto lontana da quella che abbiamo oggi: niente biblioteche silenziose, campus o sessioni d’esame a giugno. Lo studio era un’attività caotica, frammentaria e spesso condizionata dalla povertà. Gli studenti vivevano in affitto, spesso in condizioni precarie, e si mantenevano con l’elemosina o piccoli lavori. Alcuni erano sostenuti da mecenati religiosi o nobiliari. I libri, copiati a mano, erano costosi e pochi: spesso si studiava ascoltando e copiando le lezioni del maestro. Non esistevano aule vere e proprie: si studiava in chiese, monasteri, case private o anche all’aperto.
La vita accademica era tutt’altro che tranquilla. Le università medievali erano note per l’alto tasso di tensioni sociali e politiche: gli studenti avevano privilegi legali (non potevano essere giudicati dai tribunali civili) e spesso approfittavano di questa immunità per comportamenti poco edificanti. Le cronache raccontano di risse, ubriachezze, atti vandalici e vere e proprie faide tra nationes diverse. Alcune città arrivarono persino a chiedere la chiusura temporanea delle università per eccesso di disordini. Nonostante ciò, il prestigio degli studi era altissimo: essere un magister significava entrare in un’élite culturale e sociale. I migliori studenti venivano chiamati a insegnare, altri entravano nella burocrazia papale, diventavano giuristi, medici di corte o consiglieri politici.
L’universalità dell’insegnamento fu un altro aspetto rivoluzionario: i titoli ottenuti in una università erano validi anche altrove, e questo creava una rete accademica transnazionale ante litteram. Un maestro formatosi a Parigi poteva insegnare a Praga o a Napoli. Inoltre, le università contribuirono a creare una lingua comune tra i dotti, il latino, che consentiva a studenti provenienti da ogni parte d’Europa di comunicare e studiare insieme. In un’epoca di guerre, carestie e analfabetismo diffuso, le università furono una delle poche istituzioni realmente europee, capaci di superare confini e differenze culturali.
Le donne, invece, erano escluse quasi totalmente, con pochissime eccezioni in ambito medico o filosofico, spesso tollerate solo se appartenenti a ordini religiosi. Solo molto più tardi, tra il Rinascimento e l’età moderna, si affacceranno figure femminili nel mondo accademico. Anche gli studenti stranieri, pur accolti, venivano spesso discriminati o ghettizzati in nationes con statuti propri.
Nonostante tutto, l’università medievale fu una fucina di idee, dispute, teorie e innovazioni. In essa si formarono alcune delle menti più influenti della storia europea: da Tommaso d’Aquino a Pietro Abelardo, da Ruggero Bacone a Guglielmo di Ockham. Il loro metodo, fondato sul dibattito razionale e sullo studio sistematico dei testi, ha posto le basi del pensiero critico moderno. E se oggi possiamo discutere, scrivere, dissentire e apprendere in un’aula universitaria, lo dobbiamo anche a quei primi studenti e maestri che, tra codici miniati e dispute infuocate, diedero forma all’idea stessa di università.
Immagine in evidenza: Festival del Medioevo
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