“Gacha per sempre”: il 30 aprile all’Alcatraz, il concerto che ha cambiato tutto

Milano, 30 aprile. L’Alcatraz ribolle. La nebbia artificiale si confonde con l’adrenalina, e i primi rintocchi delle basse frequenze scuotono il pavimento come un presagio. È la data più importante nella vita di Diss Gacha e noi siamo qui per testimoniarlo.

Un universo chiamato Gacha

Diss Gacha, all’anagrafe Gabriele Pastero, classe 2001, è quel tipo di artista che non si limita a fare rap: costruisce un universo. Il suo linguaggio, tra slang, riferimenti alla cultura urban e una grammatica emotiva tutta sua, si fonde con beat originali e sporcature vocali che sono ormai marchio di fabbrica. 

Gacha non si capisce solo con le orecchie, si sente sulla pelle.

Il concerto è stato un viaggio, uno di quelli che non fanno ritorno. Un live intenso e narrativo, dove la scaletta ha ricostruito passo dopo passo l’evoluzione di Gacha: dai brani che lo hanno fatto emergere alla scena, fino ai pezzi più crudi e personali, quelli in cui il beat lascia spazio al cuore.

In quel flusso, video e visual mozzafiato si muovevano insieme ai ballerini e agli amici che lo hanno affiancato sul palco: tra loro Mambolosco, Bresh, Digital Astro, 22Simba e Sergio Sylvestre.

Presenze che hanno amplificato l’energia senza mai rubare la scena: quella è rimasta sua, solo sua.

21 & Metro? No, meglio: Gacha e Sala

Dietro la console, Sala, più di un producer, un fratello di sangue e di suono. Insieme hanno costruito un’identità musicale che si è rivelata in tutta la sua potenza davanti a un Alcatraz sold out e commosso.

Non è stato solo un concerto. È stata una dichiarazione d’identità, una promessa mantenuta a sé stesso e a chi ha creduto in lui quando ancora nessuno lo conosceva.

Gacha e Sala durante il live, da: Matteo Denami

Il cuore sul palco (e nel pogo)

Poi è arrivata la parte più umana, più vera.
Gacha che invita i fan a salire sul palco a cantare. Gacha che si butta nel pogo, sparendo nella folla come se avesse bisogno di sentire il battito di chi è cresciuto con lui.
E poi all’improvviso, senza dire troppo, Gacha spoilera Ballas 3, facendo impazzire il pubblico. 

frame del pogo, da: Alcatraz

Una famiglia, non un pubblico

Non semplice pubblico, ma parte integrante del rito.
C’erano occhi lucidi, sorrisi larghi, mani al cielo.
C’erano storie diverse unite da un solo nome. Un pubblico che conosce le parole a memoria perché in quelle parole ci si è riconosciuto. Che corre con lui, senza chiedere dove perché la direzione non conta, conta solo correre.

Gacha è per sempre

Dopo l’ultimo brano, mentre le luci si spegnevano e il fumo si diradava, restava nell’aria una sensazione difficile da spiegare. Era più di un concerto. Era un rito, una consacrazione.

Un momento in cui un ragazzo di Torino, con mille sogni e un microfono in mano, ha trasformato la sua storia in un grido collettivo.

E mentre tornavo a casa, con i bassi ancora rimbombanti nel petto e un pezzo di voce lasciata là dentro, mi sono chiesto: quanto vale davvero un sogno?
Forse vale proprio questo: il coraggio di raccontarlo davanti a migliaia di occhi, e la forza di viverlo come se fosse l’ultima sera sulla terra.

Il 30 aprile 2025, all’Alcatraz, Diss Gacha non ha solo fatto un live.
Ha corso.
Ha amato.
Ha scritto una pagina di sé e, in qualche modo, anche di noi e di tutti i suoi Ballas.

Di seguito alcuni miei scatti del live:

Immagine in Evidenza: Matteo Denami

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