“L’uomo che verrà”: il regista Giorgio Diritti in IULM

In data mercoledì 16 Aprile, l’Università IULM ha ospitato la proiezione del lungometraggio L’uomo che verrà (2009), seguita da riflessioni e approfondimenti da parte del regista Giorgio Diritti e di Guido Formigoni, Docente di Storia contemporanea presso l’Ateneo. Il Professore Gianni Canova ha mediato l’incontro.

Greta Zuccheri Montanari nel ruolo di Martina ne “L’uomo che verrà” di Giorgio Diritti (2009), da Cinema Visto Da Me

La Strage di Marzabotto

“L’uomo che verrà” è il film con il quale l’Università IULM ha scelto di commemorare l’80esimo anniversario dalla Liberazione dal nazifascismo in Italia, avvenuta il 25 aprile 1945. Il lungometraggio di Giorgio Diritti, in particolare, ritrae l’eccidio di Monte Sole (più noto come la Strage di Marzabotto): massacri verificatisi per mano delle truppe naziste tra il 29 Settembre e il 5 Ottobre 1944, all’interno di un’operazione di rastrellamento di alcune zone dell’Appennino Tosco-Emiliano contro la formazione partigiana Stella Rossa. Tale evento segnò uno tra i più gravi crimini di guerra perpetrati ai danni della popolazione civile dalle forze armate tedesche in Europa occidentale, nel corso della Seconda guerra mondiale.

La ricostruzione storica

Le fonti su cui Giorgio Diritti lavorò per ricostruire il periodo storico furono diverse. Il primo stimolo giunse anni prima di questo progetto, grazie all’incontro con il religioso Monsignore Gherardi, che riferì al cineasta di un proprio libro sugli accadimenti di Monte Sole. In quel periodo, inoltre, Diritti non aveva ancora avviato le riprese del film e tale tematica, ogni qual volta fosse proposta come soggetto, era accolta da un certo scetticismo. Ecco quanto dichiarato dal regista:

Trattare di quest’argomento era difficile: perciò mi calai a mano a mano, dopo la lettura del libro (di Gherardi), nel rapporto di conoscenza con le persone che avevano vissuto sul territorio. Questo lavoro fu sì prezioso, ma molto faticoso per densità emotiva: tutti coloro con cui parlai mi riferirono la propria testimonianza, la loro vita di sopravvissuti in nuclei di, per esempio, nove familiari morti. Questi elementi mi stimolarono, quasi obbligandomi a proseguire.

Giorgio Diritti in IULM

Tra le motivazioni che incentivarono ulteriormente il regista nella produzione de “L’uomo che verrà” e nella scelta di un specifica via narrativa vi fu l’album fotografico mostratogli da un uomo e contenente immagini di soli bambini. Diritti, dunque, si immedesimò appieno: “io dovevo lottare per loro, essere uno di loro, essere come loro”. A questo scopo, egli scelse di narrare il punto di vista sul dolore della guerra di chi non conosce davvero cosa sia: lo sguardo di una bambina che osserva il mondo con il desiderio di conoscere, ritrovandosi tuttavia schiacciata dal mondo esterno.

I numeri della strage

Il Professore Guido Formigoni ha spiegato come il numero dei morti di Marzabotto ammontasse inizialmente a circa 1800 vittime. Tale cifra era, però, legata al conteggio, accanto ai morti della strage, di altri decessi per cause relative alla guerra effettuato da alcuni amministratori locali. Successive ricerche operate dai due storici Paolo Pezzino e Luca Baldissara (i quali si occuparono del tema dei rastrellamenti nazisti), hanno consentito un’indagine più ravvicinata. Oggi si stima che il numero di vittime si aggiri intorno a 800, ma rimane complesso effettuare calcoli precisi (Monte Sole comprende numerose borgate e si registrarono anche molti dispersi). Diritti ha commentato nel seguente modo:

Questi calcoli mi hanno arrecato anche un certo disagio: fa differenza non il numero effettivo di morti, ma se ciascuno ha la possibilità di fare ciò che desidera nella propria vita. Vivere serenamente e con positività, creare una famiglia, vedere i propri figli crescere bene. Il mondo dovrebbe essere questo. L’aspetto più orrendo, a mio avviso, è la vigliaccheria nel far pagare sempre i bambini e non i soldati, aspetto tipico della guerra contemporanea. Sicuramente fu uno dei motivi che mi spinsero a lottare, eppure mi sento sconfitto ultimamente.

Giorgio Diritti in IULM
Targa commemorativa delle vittime della Strage di Marzabotto, da ANPI

I pregi del film

Secondo Gianni Canova, un particolare pregio di Diritti è la sua capacità di filmare la guerra. La battaglia centrale ne “L’uomo che verrà”, infatti, venne ripresa attraverso un campo lunghissimo e filtrata dallo sguardo del personaggio di Beniamina (Alba Rohrwacher), la quale osserva dal campanile di una chiesa per poi riferire ai popolani nella cappella. Si ritrova, quindi, un certo pudore nell’inquadrare la guerra da lontano e viene ricordato come sia sempre presente un osservatore che racconta e comunica. Le nuche dei personaggi, che dal bordo inferiore del quadro entrano in scena e guardano, richiamano la responsabilità di tutti noi nel testimoniare. Il timore di Diritti era, però, di cadere in un’opera raffigurante la spettacolarizzazione del dolore nel suo senso più splatter.

Volli mantenermi vicino al sentimento [delle vittime] e non rappresentare una condizione in cui la morte si tramuta in spettacolo: altrimenti, si andrebbe incontro alla morte dell’umanità intera. La morte è, infatti, parte della vita e ha in sé una sacralità. La spettacolarizzazione era ciò che meno volevo e penso di essere riuscito nel mio intento.

Giorgio Diritti in IULM

Film come questo contribuiscono al lavoro degli storici, nonché alla divulgazione di una memoria storica condivisa. Guido Formigoni afferma che tali lungometraggi possano aiutare a una maggiore consapevolezza e responsabilità verso il passato, approfondendo perché, se si utilizzasse un approccio ingenuo, si rischierebbe di trascurare un orizzonte fondamentale degli eventi. Per chi non possiede un filtro, infatti, leggerli potrebbe essere fuorviante. In ogni caso, tale comunicazione è cruciale per avvicinarci al passato, soprattutto in tempo recente.

Il dialetto nel cinema di Diritti

Le considerazioni e gli interrogativi scaturiti dai presenti in sala sono stati molteplici. Ripensando all’ultimo anno, ha domandato uno studente, film di grande successo come “Vermiglio” di Maura Delpero in Italia denunciano la necessità del pubblico di vedere ancora la trasposizione di simili narrazioni? La risposta di Diritti, con interventi anche di Gianni Canova:

Concordo pienamente con quanto detto. La ritrosia della RAI, che subentrò molto rapidamente al sostegno del progetto, derivava dal fatto che “L’uomo che verrà” volesse essere realizzato interamente in dialetto. Lungi da me insinuare di aver aperto una diga a riguardo, ma attualmente è divenuto più diffuso fruire anche dei film italiani tramite sottotitoli. Anche il mio primo film, “Il vento fa il suo giro” (2005), presentava questa dimensione: in particolare mediante la lingua occitana, la langue d’oc. La lingua non è uno strumento, ma un modo di pensare. Uno sguardo del genere sulla realtà passata contiene in sé la profondità del nostro animo, questo tipo di film è vicino alle persone nella misura in cui risulta affine alla dimensione del sogno. È un cinema che sa essere dei ricordi, delle emozioni.

La risposta di Giorgio Diritti a un quesito del pubblico
Beniamina (Alba Rohrwacher) e Martina (Greta Zuccheri Montanari) ne “L’uomo che verrà” di Giorgio Diritti, da Cineteca Bologna

L’uso del realismo

Fondamentale, ha evidenziato Canova, fu anche l’accurato studio della cultura materiale della civiltà contadina, ovvero la minuziosità degli oggetti, degli abiti e in primis dei volti. È proprio la resa sbalorditiva di questi ultimi, infatti, a catturare l’attenzione dello spettatore: i visi sono segnati dalla vita, dalla povertà e al contempo dalla resilienza e risultano radicati insieme in luoghi in cui vige la venerazione per la quotidianità. Essi avrebbero riscontrato certamente il gusto di Pier Paolo Pasolini. “Formare un cast simile oggi risulterebbe forse più complesso”, conclude Diritti.

Il senso di realismo era cruciale: il gioco del cinema, specialmente nella rappresentazione di epoche passate, è efficace nel momento in cui permette allo spettatore di intraprendere un viaggio nel tempo. Ho sempre pensato a “L’uomo che verrà” come a un osservatore che, seduto nell’aia del casale dei protagonisti, cercasse di comprendere ciò che stesse avvenendo intorno a sé, quasi sentendosi parte della famiglia e di uno specifico stile di vita. Se nei film d’oggi questi elementi si dimostrano più bruciati, nel cinema d’epoca possono essere riportati con magia. “Vermiglio” presenta, in tal senso, dei punti di contatto con “L’uomo che verrà” per l’innamoramento, il sogno e la novità dello straniero. Anche in “Volevo nascondermi” del 2020, seppur lavoro meno corale, feci di nuovo uso di questa sensazione.

Giorgio Diritti sul realismo in L’uomo che verrà

Esiste, a proposito, un vero e proprio filone del cinema italiano che, da autori come Ermanno Olmi e Franco Piavoli, si dirama fino a Giorgio Diritti e a Maura Delpero.

Attenzione all’equilibrio

In merito al rapporto con i racconti dei cittadini di Marzabotto, Diritti ha affermato: “in questi lavori è sempre importante prestare attenzione alla misura, cioè all’equilibrio nel veicolare un’emozione senza scadere nella sua speculazione. È un processo che il più delle volte coinvolge la fase di scrittura, ma che si trasferisce anche sul set per eventuali aggiustamenti.”

In seguito, riguardo alle relazioni tra attori, regista e maestranze contribuenti alla realizzazione del film, ha aggiunto: “mia grande fortuna fu collaborare con una troupe di attori professionisti e abitanti del territorio alle prime armi, che insieme riuscirono a compenetrarsi e calarsi con passione nei propri ruoli. Formavamo un gruppo durante e al di fuori delle riprese, proprio come i famigliari di Martina erano soliti riunirsi nella stalla del casale. La condizione era di grande complicità e solidarietà e, a mio parere, un film nella gran parte dei casi riesce se realizzato in un’atmosfera positiva”.

L’anteprima del film a Marzabotto

La giornata più difficile fu quella in cui ebbe luogo la proiezione a Marzabotto, prima che il film uscisse in sala: erano presenti anche i parenti e gli amici delle vittime e ciò che meno avrei desiderato fosse tradire la loro fiducia. A fine proiezione ricordo un interminabile silenzio, un attimo in cui il tempo sembrò dilatarsi. Il Sindaco del borgo, poi, invitò le persone a intervenire: solo allora un uomo, alzandosi, mi ringraziò. 

Giorgio Diritti sulla prima proiezione di L’uomo che verrà

Il significato del titolo del film

La scelta peculiare di Diritti nel titolo del lungometraggio risiede nel vocabolo “uomo”. Per quale motivo, infatti, riportarlo in caratteri maiuscoli? Il regista ha spiegato: “UOMO” fa riferimento non solo al neonato fratello di Martina, da cui viene “salvata” e che avrà la responsabilità di crescere, ma anche all’umanità”. Ancora una volta, dunque, è lampante l’appello allo spettatore: ognuno di noi ha il dovere di farsi portavoce di una testimonianza, di un racconto tramite cui l’orrore di guerra e morte non riusciranno a svanire. Il nostro compito è continuare ad accrescere la nostra sensibilità e, come il piccolo ancora in fasce per il Futuro, essere garanti di una narrazione condivisa per la memoria collettiva.

Giorgio Diritti con Greta Zuccheri Montanari sul set de “L’uomo che verrà”, da TaxiDrivers

Immagine in evidenza: Ludovica Pesenti – Ph

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