I social? Non sono un gioco da ragazzi. Le riflessioni a Tempo di Libri

Venerdì, Tempo di libri. “E’ un far west, vi svelo il finale”, esordisce  Simone Cosimi. Che presenta con queste parole “Nasci cresci e posta”

il nuovo libro scritto a quattro mani con lo psicoanalista torinese Alberto Rossetti ed edito da Città Nuova.

Il Far West in questione è dunque quello dei social networks che come recita il sottotitolo del saggio sono “pieni di bambini: chi li protegge?”. I due autori compiono un’analisi sulla regolamentazione e gli usi e costumi infantili sulle piattaforme social. Partono dal presupposto che secondo gli ultimi dati Istat i bambini vi approdano intorno agli 8-9 anni. Le regolamentazioni del loro utilizzo pongono però la soglia di ingresso ai 16 anni in Europa (13 negli Usa). E’ ovviamente, tuttavia, un “gioco da ragazzi” – come dall’antifrasi dello stesso titolo dell’evento – bypassare questi paletti.

Catapultati sul web, i minori sono esposti a contenuti spesso inadatti a loro. I bambini non contestualizzano, dice Rossetti, ma assorbono. La livella dell’internet presenta loro il mondo per come è, senza tener conto di ciò che possono elaborare dalla sua vista. Cosimi spiega anche come esistano filtri applicati tramite persone fisiche che compiono “micro-tasks” di verifica dei contenuti, eliminando quelli considerati inappropriati. E’ naturale pensare però che la verifica manuale non sia sufficiente e che gli algoritmi di questi siti debbano essere potenziati.

Il fatto che oggigiorno i bambini possano fruire gli stessi contenuti dei genitori fa sì che non ci siano più differenze d’età e conseguentemente modifica le relazioni familiari. Ciò che un padre faceva all’età del figlio non è più ciò che ora fa quest’ultimo. Il famoso “ma che ci trovate di divertente?”, come ironizza lo psicoanalista, riecheggia nelle camerette dei millenials. Questa discrepanza porta inoltre al rifugio dei giovani in ambienti nuovi dove i genitori non si sono ancora introdotti, per sfuggire al controllo e preservare la loro privacy.

Si innesca così un loop in cui più i “vecchi” si appropriano delle nuove tecnologie, più i teenagers gli sfuggono praticando nuove piattaforme. Snapchat prima, Instagram ora, spopolano per la peculiarità delle “storie” di eliminarsi dopo ventiquattro ore di vita online. E’ forse, come si dicono i due autori, non è così sbagliato che nella vita di un adolescente ciò che fa possa essere dimenticato. A quell’età sperimentiamo, spesso commettiamo errori e venirceli rinfacciati nelle frequenti “memo” di Facebook non ci aiuta a vivere orientati al futuro. Eppure questi siti ci abbindolano e per quanto molti giovani, come dice Cosimi,  li stiano già lasciando, altri sono avviluppati nelle dinamiche di gratificazione. Tutti i social si basano sul “libero scambio” di like e shares.

Libero scambio perché sono come denaro. Ogni nostro evento ripagato da un grande ammontare di essi ci fa sentire importanti. E quanti più ne abbiamo quanti più ne vorremo. Nella costruzione dell’identità di un giovane questi siti giocano un ruolo mortifero perché lo spingono a essere ciò che gli altri si aspettano pur di ricevere gratificazione. Questo problema, ci dice Cosimi, è per giunta fomentato dallo “sharenting”, la condivisione compulsiva dei genitori di foto e video dei propri figli. Questi avranno quindi forse prima ancora di possedere un account Facebook la loro immagine nei contenuti del sito.
Insomma, i social paiono un gioco per adulti. Praticato però da bambini.

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