Potere e cinema. Lo “spiegone” di Francesco Fanucchi sul libro di Gianni Canova

Divi, duci, guitti, papi, caimani: che maschera abbiano, i potenti, davvero non importa per il cinema italiano. Perché tutti, ma davvero tutti i registi del bel paese contribuiscono ad un immaginario fosco del potere, appena scrutato in un agile saggio edito da Bietti.

E perché capita solo in Italia ed in nessuna altra cinematografia? Probabilmente perché qui, ad osservarli, c’è il prof. Gianni Canova, critico cinematografico e prorettore dell’Università IULM. Ospite dell’ultima puntata di Zizzania (clicca QUI per saperne di più), il Cinemaniaco ha raccontato ad Achille Cignani ed Enzo Cartaregia raccontando cosa sta dietro la sua ultima pubblicazione e la riflessione sul potere. Ossessione del cinema italiano e – confessa – anche un po’ sua. 

A chiudere l’intervista, ricca di suggestioni e curiosità sull’immaginario del potere e come è stato tradotto sul grande schermo, è arrivata la consueta copertina di Francesco Fanucchi (giù il podcast da ascoltare). Stavolta non satirica, bensì uno “spiegone” del libro firmato dal prof. Canova. Che, tra le pagine, si chiede: “il cinema italiano non ha saputo rappresentare la democrazia perché non è mai riuscito a capirla o – al contrario – perché ha capito fin troppo bene la sua essenza e ne è rimasto traumatizzato?”. Ad approfondire la domanda ci pensa proprio Francesco come, naturalmente, l’intero show di Zizzania.

 

“I mille volti del potere. Quando il cinema ritrae l’ossessione di un paese” (Tratto da Zizzania. Puntata  19 aprile. Clicca QUI per ascoltarla )
di Francesco Fanucchi

Ascolta la puntata di Zizzania di giovedì 19 aprile, con ospite il prof. Canova, al link: https://www.radioiulm.it/album/zizzania/

Divi duci guitti papi caimani, così si intitola l’ultima opera di Gianni Canova, edito da Bietti. Un indagine non sul Potere, argomento troppo astratto, fumoso e opaco, ma sulle sue rappresentazioni cinematografiche: sempre chiarissime, ogni volta evidenti.

Nel cinema di cultura anglosassone, abbiamo ammirato affascinanti ritratti di potenti: da The Iron Lady interpretata da Maryl Streep, a The Darkest Hour con Gary Oldman nei panni di Winston Churchill, fino al Lincoln di Steven Spielberg. Sono tutte opere recenti, dove emergono dei protagonisti ambiziosi, ricchi di contraddizioni, difetti, debolezze, ma capaci di agire nell’interesse del proprio Paese: statisti animati sì da fame di comando, quanto da un profondo senso di responsabilità. Quasi una costante nel cinema holliwoodiano: rappresentare il Potere, perfino il suo lato oscuro, mantenendo intatto il valore e le virtù delle maschere che lo portano in scena.

Ma è sul cinema Italiano che occorre prestare maggior attenzione, poiché nel nostro Paese il ritratto dei potenti appare molto più controverso. In Italia il potere ha un volto esclusivamente maligno. Nessun civismo patriottico, nessun senso di appartenenza ad una comunità di cittadini, ad un insieme di valori.

Re Sole di Roberto Rossellini, il Caimano di Moretti, il supermegadirettorigalattico di Villaggio, e potremmo citarne infiniti altri. La settima arte nostrana preferisce rappresentare maschere grottesche, squallide, mosse unicamente da desideri egoistici e immorali, e dove L’arte del compromesso viene ridotta a gioco clientelare, i grandi progetti sociali sono assenti, il dibattito sulle idee è trasformato in mediocre teatrino di provincia.

Indagare le motivazioni di una simile allergia verso lo status quo non è facile. Sicuramente è dovuta alla mancanza di uno Stato e di Statisti per lunghi secoli di Storia. Un popolo abituato a Masaniello e ai Borgia, a duci di cartapesta e posatori di professione, ha ragione di sentirsi lontano dal mondo politico, percepito inaccessibile e oscuro. Oppure, molto più cinicamente, quel riconosciuto egoismo del Potere che il cinema italiano ha svelato, potrebbe essere lo specchio di un carattere nazionale.

Se le maschere che descrivono i potenti ci risultano così infime, così prepotenti coi deboli e così servili con i forti; se quei personaggi ci appaiono egocentrici e narcisisti; se inorridiamo di fronte alle loro scelte vigliacche e ai loro opportunismi, è perché segretamente sentiamo di somigliargli. Forse, il nostro cinema rappresenta il lato oscuro del potere perché in fondo, anche se Loro non sono come noi, noi in parte, siamo come Loro.

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