Hong Kong, cosa succede?

Dopo mesi di protesta, le strade di Hong Kong sono ancora ancora attanagliate da manifestanti e non mancano, anzi aumentano, gli episodi violenti.

La sede del governo è stata presa d’assalto e la stessa sorte è toccata all’aeroporto internazionale che è rimasto chiuso per giorni, senza contare l’occupazione del PolyU, una delle maggiori università della città.

Ma perché queste proteste sono iniziate? E, soprattutto, quali sono gli obiettivi dei manifestanti?

Innanzitutto Hong Kong, secondo la formulauna Cina, due sistemi, approvata nel 1997, che sarebbe dovuta durare 50 anni, è una regione amministrativa speciale. La sua Costituzione, differente da quella del resto del Paese, si basa su leggi simili a quelle inglesi, che erano state precedentemente adottate per via della colonizzazione.

Una parte fondamentale di questa giurisdizione è la trasparenza e il diritto al giusto processo, oltre che nei diritti alla protesta, alla stampa libera e alla libertà di parola. Infatti, uno dei “nuovi” motivi di rabbia è la legge speciale che vieta l’utilizzo delle maschere allo scopo di permettere il riconoscimento facciale, cosa che va contro i diritti dei manifestanti.

Secondo gli hongkonghesi, Pechino avrebbe iniziato a violare questi diritti già dal 2014, dopo la rivolta degli ombrelli, poiché la soluzione proposta (ma alla fine non adottata) era stata quella di riformare il sistema elettorale della città in modo che la Cina potesse pre-selezionare i candidati alla leadership.

Le richieste dei manifestanti di Hong Kong

I manifestanti hanno avanzato 5 richieste principali: eliminare il progetto di estradizione verso la Cina di prigionieri di Hong Kong (al fine di preservare i loro diritti); ottenere le dimissioni immediate di Carrie Lam, capo dell’esecutivo cittadino, con associata l’apertura di un’inchiesta sulla brutalità espressa dalla polizia sotto suo comando; il rilascio di coloro che sono stati arrestati in questi mesi e, per finire, maggiori libertà democratiche.

La barbarie della polizia ha spinto, in estate, i protestanti a chiudersi nell’aeroporto al fine di evitare la violenza ma ciò non ha impedito alle forze armate di seguirli. La sicurezza però non era l’unica motivazione, infatti lo scalo è uno dei più importanti tra quelli asiatici e, attraverso la sua occupazione, si cerca di far passare un messaggio di libertà al resto del continente e anche del mondo, con l’uso di volantini esplicativi dati ai turisti di qualsiasi nazionalità, in arrivo e in partenza.

Nei giorni scorsi…

Nell’ultima settimana le proteste si sono spostate al Politecnico, dove centinaia di manifestanti si sono barricati armati di bastoni, frecce, bottiglie incendiarie e mattoni da lanciare. La polizia ha da subito minacciato di rispondere con armi pesanti, a meno che non avessero liberato l’edificio e dalle parole siamo passati molto in fretta ai fatti: i feriti sono a centinaia e continuano ad aumentare.

Si parla, nel Bangkok Post, di una “cittadella sotto attacco”. Questo uso di forza da parte dei vigili rompe un’altra delle regole non scritte: la sacralità dei luoghi di insegnamento e il loro uso come porto sicuro.
Il segretario della sicurezza, John Lee, risponde: “non un solo posto in Hong Kong è escluso dalla legge, e questo include le università. Esse non dovrebbero essere un posto in cui far crescere la violenza”.

Ma sono proprio gli studenti, ancora una volta, i leader degli attivisti ed è proprio nelle sedi universitarie che discutono e organizzano le rivolte contro il Partito Comunista Cinese che sembra privarli dei loro diritti. Si combatte anche contro l’ineguaglianza economica e l’omogeneizzazione che ha portato ad una cupa visione riguardo al futuro.

Da quando le manifestazioni sono iniziate in giugno, sono proprio loro i più attivi e organizzati: “protestare nel weekend, presentarsi a lezione in settimana, studiare per gli esami, fare stage e lavorare nel mentre” (Bangkok Post). Molti sono stati arrestati (e poi rilasciati se minorenni, come richiesto dalla legge) e si scontrano anche in famiglia. Questo però non sembra fermarli, ma anzi sembra dare loro maggiore forza e volontà. “Una cosa che le persone hanno realizzato è che le proteste, il movimento, il conflitto, è inevitabile” – racconta Gabriel Fung, uno studente di 19 anni. “Prima o poi ti raggiungerà ovunque tu sia”.

È stata proprio la morte di un universitario, in questo mese, che ha dato inizio all’occupazione delle sedi universitarie. Chow Tsz-lok, 22 anni, è caduto da un parcheggio rialzato durante una delle azioni poliziesche il quattro novembre e da subito le reazioni sono state fortissime: le lezioni sono state annullate e in migliaia hanno partecipato alle commemorazioni.

Le ultime ore

Il 19 novembre, dopo una settimana di occupazione e tre giorni di lotta, il Politecnico è stato evacuato quasi completamente, gli arresti nella notte sono 400 e riguardano chiunque fosse maggiorenne, mentre i 200 minorenni sono solo stati identificati e rimandati a casa.

Si calcola che dentro il PolyU rimangono ancora tra le 100 e le 200 persone, ma è in corso una trattativa allo scopo di evitare nuovi scontri armati e ulteriori feriti. La motivazione principale della resa è l’esaurimento delle scorte e in particolare dell’acqua potabile. L’evento è stata anche un’operazione di immagine dalla stampa di Hong Kong che l’ha sfruttato per mostrare i rivoltosi criminali sconfitti e piegati alla legge, nonostante siano considerati da una larga fetta dell’opinione pubblica come dei veri e propri eroi, capaci di rivendicare diritti e proprie libertà.

Ma, nonostante tutto, la situazione non è ancora vicina alla risoluzione, si teme che possa peggiorare ulteriormente.

Noi siamo vicini ai manifestanti nella loro ricerca della libertà e della giustizia. Speriamo che la soluzione possa migliorare e che i paesi democratici dell’UE e non solo, possano riconoscere e sostenere la causa di chi è sceso in piazza.

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