A lezione con Gabriele Salvatores, il regista di Mediterraneo

Si è tenuto ieri, in IULM, l’incontro inaugurale del corso in Storia del cinema italiano del Prof. Gianni Canova, con un ospite d’eccezione: il regista italiano premio Oscar Gabriele Salvatores. All’incontro era presente anche il professor Antonio Scurati.

Si è partiti con una riflessione sul concetto di fuga, descritto come unico modo per sopravvivere anche in Mediterraneo, film con cui il regista napoletano vinse l’Oscar al miglior film straniero nel 1992.

Egli, a tal proposito, ha dichiarato che l’idea della fuga viene dall’arte marinara e che consiste nel modo in cui si contrasta una tempesta in barca. Un modo in cui il marinaio non governa completamente il suo mezzo, ma è il mare a guidarlo e questo permette di scoprire luoghi, persone che non avrebbe mai conosciuto altrimenti.

Un altro tema affrontato è stato quello del Neorealismo, la corrente cinematografica con maggior successo nella storia della nostra penisola. Per quei film, come ha sottolineato Salvatores, eravamo stimati in tutto il mondo. In quel periodo si girava in presa diretta, in esterni e con l’utilizzo di non-attori, persone comuni prese dalla strada. Tra i tanti, sono stati ricordati tre dei film più famosi, usciti tutti nel 1960: La dolce vita di Federico Fellini, L’avventura di Michelangelo Antonioni e Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti.

Il regista Gabriele Salvatores e il Prof. Gianni Canova

Successivamente si vide la nascita di molti cineasti, tra gli anni ’70 e ’80, come ad esempio Nanni Moretti, Carlo Verdone e Roberto Benigni.

Tra fine anni ’90 e inizio 2000 invece, come sottolineato dal prof. Canova, abbiamo assistito alla rimozione dei generi. Dopo questo periodo infatti, a parte qualche eccezione, per molti anni il cinema italiano si è diviso esclusivamente in commedia e film d’autore.

Gabriele Salvatores è una delle eccezioni, in grado di tentare di misurarsi con l’impianto narrativo riconducibile al cinema di genere, a cominciare da Nirvana del 1997, uno dei pochissimi esempi di film di fantascienza di matrice italiana.

In seguito, il Prof. Scurati ha ripreso il discorso sul Neorealismo. Ha notato come chiunque oggi sia uno scrittore di romanzi o di film debba liberarsi della pesante eredità lasciata da quella specifica corrente. Questo per evitare la presunta divisione tra cinema come narrazione popolare o prodotto commerciale e cinema come creazione autoriale. Film come La dolce vita o Rocco e i suoi fratelli non erano stati pensati per una ristretta cerchia di appassionati, ma per il grande pubblico. Film come Roma città aperta di Roberto Rossellini dovevano la loro grandezza anche all’essere innanzitutto dei racconti popolari.

Infine, dopo una riflessione su quanto la scrittura sia stata uno degli anelli deboli, del nostro cinema recente, si è parlato di un’opera di Salvatores: Il ragazzo invisibile, del 2014.

Questo film, insieme al suo sequel dell’anno scorso, può essere considerato il primo di genere supereroistico girato in Italia. Anche se ha avuto poco successo rispetto a Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, uscito due anni dopo. Salvatores ha spiegato questo dicendo che il suo approccio a questa mitologia, rispetto a quello di Mainetti, è stato diverso da quello che è l’anima del genere. Pur essendoci dei superpoteri, è stato un film sull’adolescenza, sulla crescita, e si pone in una maniera più problematica rispetto al tipico racconto del supereroe.

In ogni caso, Salvatores ha confermato la sua idea di volersi continuamente aprire a nuovi mondi e a nuove strade, frequente nella storia del suo cinema, raro nel resto del panorama nazionale.

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