Immigrazione: come la percepiamo? Scopri la ricerca degli studenti IULM

Le prime pagine dei quotidiani, quelle affollate dal dibattito politico interno, hanno concentrato l’attenzione sul tema. Probabilmente, si penserà, in modo asfittico e talvolta pretestuoso. Eppure se ne parla da tempo, di immigrazione. E lo si fa anche nelle aule dell’Università IULM, o più nello specifico nel corso di metodologia della ricerca sociale tenuto dal prof. Guido Di Fraia.

Proprio qui, ma attraverso la lente del rigore scientifico, gli studenti si sono interfacciati con l’argomento per produrre delle indagini statistiche. Che sembrano adesso una prova in più nel dimostrare che il focus sulle migrazioni ha risvolti che cadono aldilà degli idola fori; poco importa se dilaghino questi dai bar o dall’agenda dei partiti. Il dato di fatto sembra piuttosto che l’accelerazione epocale impressa allo spostamento di interi popoli mobiliti anche uno scarto tra realtà e percezione del fenomeno. Fratturando sì gli equilibri del consenso, ma anche lo statuto sociale di una platea che osserva, discute, vota. 

Non a caso ci si chiede, da almeno altrettanto tempo, come sia percepita l’immigrazione dagli italiani. Ed è su quell’asse di comunicazione che si commette l’errore di considerare poco, o nulla, la visione dei più giovani. Saranno giocoforza loro, quelli che hanno ancora tanti spazi liberi sulla tessera elettorale, a negoziare l’agenda pubblica dei prossimi decenni. Quelli che IULM indaga attraverso le rappresentazioni socio-narrative offerte rispetto ai temi di immigrazione e criminalità. Cercando, nei lavori prodotti per il corso del prof. Di Fraia, di mettere a confronto il punto di vista di uno studente a quello di un lavoratore.

Quello delle rappresentazioni socio-narrative , dunque, è il modello di riferimento. Lo derivò negli anni ’80 il sociologo Moscovici, alla ricerca di connettere i propri studi con la spiegazione della realtà. Di qui la deduzione che le rappresentazioni, quelle raccolte al microfono dagli studenti di metodologia della ricerca sociale, siano forme di conoscenza collettiva, messe in atto quando un gruppo sociale – ad esempio una famiglia – si trova di fronte a qualcosa che non ha mai visto.

E, di conseguenza, reagisce elaborando una nuova coscienza condivisa. Si analizzano così le reazioni che i soggetti hanno davanti ad un fenomeno, in relazione al contesto in cui essi vivono. In genere, sono rappresentazioni fatte di immagini, storie e narrazioni, che tengono conto rispettivamente di dimensione iconica, narrativa e concettuale. Ma entriamo adesso nel merito delle indagini condotte. A partire dalle domande veicolate nelle interviste e aduno schema che renda più semplice orientarsi nei meandri dell’opinione pubblica.

A cosa fai riferimento quanto senti la parola immigrazione?

Immagine. La prima fase riguarda un discorso sulla dimensione iconica a cui gli intervistati si riferiscono nel pensare al fenomeno migratorio: l’immagine plastica che hanno del tema. Le risposte più calzanti raffiguravano “persone in cerca di un futuro migliore”. Solo un’opinione su dieci si discosta da questa idea, spiegando che la distinzione primordiale deve essere tra “chi ha voglia di lavorare e chi vuole approfittare della particolare situazione in cui verte il nostro Paese”.  Unanimità si registra invece nel sintetizzare sotto il tag islam la somma di etnie che si compone nei flussi diretti in Italia. Sottolineando, in qualche caso, un chiaro intento dei migranti rivolto a diffondere l’ombra della propria cultura.

L’immagine associata alla parola immigrato – l’icona della persona, quindi – risulta più specifica: nove idee su dieci convergono, raffigurando l’immigrato come un individuo dalla carnagione prettamente scura, mal vestito e partito dal proprio paese, in direzione Europa, su di un barcone. Un caso isolato – adulto di 50 anni circa, che subisce una bassa influenza dei media – dichiara di pensare a nostri connazionali che lasciavano l’Italia nel basso Novecento. L’immigrato immaginario descritto, insiste a sua volta dentro una fascia di età eterogenea, che va dai 17 ai 30 anni.

Concetto. Nella fase successiva, quella della dimensione concettuale, la stragrande maggioranza degli intervistati è concorde sul fatto che alla base del fenomeno ci sia “un sogno verso un futuro migliore, uno spostamento dal paese di origine, in cerca di fortuna”. Soltanto il 20% sostiene che l’immigrazione sia non solo un problema, ma ponga anche le basi per un “business” all’altro capo delle rotte percorse dai flussi in partenza dal Nord Africa.

Sul concetto di immigrato, per converso, i campioni hanno opinioni discordanti. Una prima distinzione viene fatta tra clandestino e non, dalla quale ne emerge una successiva tra “chi si rimbocca le maniche” e chi, banalmente, non ha intenzione di farlo. Ultima, ma non per importanza, è la considerazione su chi è sfortunato e chi invece è un “vile mascalzone”.

Narrazione. Allo stadio narrativo, le persone che compongono il campione sono state invitate a sbilanciare la propria creatività. Chiesto loro di ripartire dall’immagine di immigrato che ci hanno descritto, prende forma, qui, una storia immaginaria che abbia lo stesso come protagonista.  
Ecco che l’attenzione di chi conduce la ricerca sale ad un livello più alto. Anzitutto perché la narrazione è il primo dispositivo interpretativo e conoscitivo di cui l’uomo fa uso nella sua esperienza di vita. Conferiamo, appunto, senso e significato ad ogni azione o situazione, costruendo su di esse forme di conoscenze che ci aiutano nel nostro agire.

In linea generale emerge allora che le storie vertono tutte su un potenziale spostamento del soggetto considerato immigrato, in cerca di fortuna verso un Paese, ma non sempre specificato. I finali, come prevedibile, prendono le strade più divergenti, tra lieto fine, esiti drammatici o talvolta incerti. Nel 90% delle interviste il racconto insiste però sul caso di africani in partenza per l’Europa. Una minoranza fa riferimento ai continui spostamenti delle persone dalla campagna alla città, o agli ambienti del sogno americano.

Che rapporto hai con persone che sono immigrate qui in Italia?

L’indagine riscontra una marcata differenza tra chi proviene dal Nord e dal Sud della penisola. Ciò deriva ragionevolmente dalla diversa esposizione che le regioni italiane hanno rispetto agli sbarchi. Tutti le persone sottoposte alla ricerca hanno comunque preso contatto con immigrati in prima persona. Maggiormente evidente nei più giovani, che hanno relazioni sporadiche con compagni di università e/o coetanei non italiani, il vissuto dell’immigrazione nel contesto sociale è meno inteso tra gli adulti, che provano simili esperienze nel contesto lavorativo. Una percentuale alquanto bassa si dichiara al contrario esente da relazioni di qualsiasi tipo con immigrati.

E’ opinione comune che l’influenza dei familiari nella formulazione delle opinioni a volte è determinante. Lo dimostra la ricerca effettuata,  riguardante i flussi migratori, con gli intervistati che risultato d’accordo con i pensieri circolanti in famiglia. Traversale è altresì l’opinione che i flussi rappresentino un problema e che i media enfatizzano le sue criticità, al tal punto da muovere in direzioni prestabilite l’opinione pubblica.

Ma questa affermazione è la premessa a quella su cui c’è maggior consenso: che sia cioè la politica, in tutte le sue declinazioni, a discutere in modo non limpido del fenomeno immigratorio. Il campione si divide piuttosto in chi vorrebbe attribuire maggiori responsabilità a chi governa e chi propone interventi di legislazione, imputando la selva di norme che asfissia il Bel Paese secondo i più. Ma le interviste riguardano, a pieno titolo, anche un’approfondimento sul mantra dell’aiutiamoli a casa loro, se c’è accordo sull’ottenere più accordi con le rispettive nazioni di provenienza e sulla volontà di sostenere il sistema scolastico nei paesi più fragili.

Insomma, questa fase della ricerca sembra essere quella con opinioni più variegate,  nella misura in cui le persone intervistate sono indotte, a rigor di metodo della scienza sociale, ad avere una visione più ampia dell’immigrazione . E se non appare malevolo incoraggiare il senso critico di chi si sottopone all’indagine.

In un contesto di occidentalizzalizzazione diffusa, come quello attuale, non appare credibile parlare ancora di frontiere. E lo ha ricordato anche il capo dello Stato, Sergio Mattarella commentando gli esiti del Consiglio europeo di fine giugno. Covando anche lui – seppure non sia stato ancora intervistato dagli studenti IULM – la speranza che, almeno in quelle sedi, si possa rinsaldare la frattura tra realtà e percezione. Ovviamente con senso di responsabilità, prima che con l’aiuto della ricerca sociale. 

Tuttavia, posto nuovamente il quesito di partenza, cioè su come sia percepito il fenomeno da parte dei giovani, si possono trarre alcune conclusioni. Le nuove generazioni, per nostra fortuna, sembrano consapevoli di ciò che sta accadendo in Europa e causalmente in Italia. Lo dimostra il fatto che la maggioranza delle opinioni proviene da individui informati, con idee poco chiare sulle dinamiche di intervento, ma che non hanno esitato a proporre soluzioni per tamponare la ferita aperta nel Nord Africa. Questo è sintomo di interesse, un punto a favore della gioventù.

Che poi, attenzione, l’immigrazione viene additato come “problema”, in primis per via della mal gestione che ha avuto e che ha. Non ci sarebbe nulla di male ad accogliere in maniera controllata qualcuno che se la passa peggio di te. Poi sì, il Paese non è nelle condizioni economiche per far fronte ad una tale situazione senza aver un mano dall’UE, eccetera eccetera. Stiamo entrando nel terreno di battaglia del dilemma socratico dei giorni nostri: è più conveniente sostenere il fronte del prima gli italiani o più giusto combattere i crimini all’umanità? Ma a questo punto, lasciamo pure scannare Salvini e Saviano. Che di tempo per dibattiti, online e non, sembra ne abbiano da vendere.

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