“The Foursome” (3 di 3). Scopi l’ultima parte del racconto di Ilaria Padovan

L’edizione 2018 del contest Giovani Scrittori IULM ha dato alla luce Pelle, l’ennesima antologia di racconti nata in Ateneo per finire sugli scaffali delle librerie (clicca QUI per saperne di più).  

Ed ha, il progetto curato dal prof. Paolo Giovannetti, visto partecipi decine di studenti, che hanno messo a frutto la propria creatività nella stesura delle loro storie.
Racconti d’amore, di fantascienza o semplicemente di fantasia: il risultato è una silloge che accontenta praticamente tutti, a partire da chi ha fatto da regista nella sua impaginazione (QUI la nostra intervista ad uno dei curatori).
Per questo Radio IULM – voce degli studenti, prima che radio delle arti – ha pensato di proporre alcuni dei racconti contenuti in Pelle, con una serie di pubblicazioni sul sito che vi accompagnerà per qualche settimana ogni lunedì, mercoledì e venerdì, fino a luglio inoltrato.

Quello che condividiamo adesso con i lettori di Radio IULM è il racconto di Ilaria Padovan. Si intitola The Foursome e qui sotto in esclusiva trovate l’ultima parte. Buona lettura!

 

THE FOURSOME (3 di 3)

3. (Jo)

Mai capito cosa rimanesse a fare in ufficio fino a quell’ora.

– Dai che ti passo a prendere io. Scendi tra dieci minuti esatti.

Per fortuna l’ufficio era vicino alla Santeria e quindi a un sacco di altri posti. Era di nuovo una versione ridotta del foursome, ma tutto sommato non mi dispiaceva nemmeno che Ve fosse rimasta a Genova. Alla fine lei e Caf si erano messi insieme, probabilmente anche per colpa mia, sicuramente per colpa sua, ma non era così che sarebbe dovuta andare. Meglio non ci fosse. Meglio fossimo solo noi tre. Che poi il foursome lo avevo inventato io. Sotto i pini marittimi di Sestri, quella sera che era nata un po’ per caso e il giorno dopo Caf doveva partire per la Puglia, per le vacanze forzate. Era solo qualche anno fa. Erano gli anni delle grigliate in piscina da me, prima che Pive partisse per il Giappone. Prima che Edone partisse per la Thailandia per paura di rimanerci di solitudine, prima che l’inchiostro le macchiasse la pelle. E le serate passavano tra Colonne, Geckos e canzoni accompagnate dall’ukulele. Quella sera là se n’era uscita con una delle sue.

– Ma secondo voi perché i vampiri sono sempre ottimi musicisti?

– Jajajaja e questo secondo quale logica?

– Eh, facci caso, nei film dove sono loro i protagonisti, sono sempre musicisti.

– Ma non è vero!

– Massì! Tutti fighi, oscuri.

– Vabbè ma perché a te piacciono i vampiri, sicuramente ci troverai qualcosa di eccitante.

– Beh ovvio, scherzi?

– Jajajaja e sentiamo un po’, perché mai?

– Beh sono affascinanti.

– Sì, ok, non era questa la domanda.

– Beh ti mordono, ti succhiano via il sangue, il sangue è eccitante.

– Ti devo ricordare che hai rotto un tavolo in cristallo nel tuo ufficio peraltro qualche settimana fa e che di sangue, tuo, ce n’era un po’?!?!

– Jajajajaja come? Io questa non la sapevo!

– Ve! Ma devi raccontare tutto proprio?

– Eh.

– Ma eh cosa?

– Eh niente, mi è scappato.

– Ahahaha ricordami di non raccontarti mai un segreto.

– Va beh ma questa storia del tavolo?

– Eh niente, non avevo casa libera…

– E quindi??

– E quindi avevo le chiavi dell’uffici o e siamo andati là.

– Jajajaja non ci voglio credere!

– Scusa e poi?

– Oh beh poi abbiamo finito.

– Jajajajaja eh certo altrimenti non potevi andare casa.

– Te sei fuori di testa, lo sai vero?

– Beh non mi sembrava la fine del mondo.

– Allora già che andare di notte in ufficio per scopare non è normale, sappilo, siamo andati tutti in camporella, puoi farlo anche tu eh!

– Ma volevo stare comoda.

– E hai finito per rompere un tavolo!

– Non è stata colpa mia! Non solo almeno.

– In ogni caso, non è normale. E non sono normali nemmeno quei deficienti che avranno creduto alle balle che hai raccontato per giustificarti. 

– Ma perché, non ti han scoperto scusa?

– Ti pare che lavorerei ancora lì se fosse venuto fuori?

– Jajajajajaja te sei Gesù. C’è stato un periodo in cui eri diventata banale come gli altri, ma lo avevo detto io: te sei Gesù.

– Ma dai Jo smettila, non è Gesù, è fuori di testa, non fomentarla anche tu che la licenziano se va avanti così.

– Dai Caf pure tu, esageri eh, vah che ti ha fatto male andare a lavorare con quei pinguini della Deloitte.

– Senti, mi avrà anche fatto male, ma almeno io e Jo ce ne siamo andati da quel posto, te sei ancora là e sei pure contenta di starci.

– E quindi? Qual è il problema?

– Il problema, Ve, è che sei sottopagata e tutto il merito di quello che fai se lo prende quello stronzo di Ale, ecco qual è il problema.

– Non son cazzi tuoi.

– No, certo, fai come credi che va bene. Poi un giorno ti sveglierai, vedrai. E te smettila di fare cagate.

– Vabbè ci provo, dai non è che faccio apposta.

– Jajajaj ma da una che si eccita con il sangue cosa ti aspetti, Caf?

– Ahahahah allora? Ma perché sono sempre io sotto i riflettori?

– Eh perché fai le cagate.

– E Ve le racconta.

– Uff.

– E sei Gesù.

– Bisogna pur sentirsi vivi ogni tanto, no?

Non l’avevo capito cosa intendesse, ma era così che andavano le serate allora. Una volta mi aveva raccontato di aver tirato le bottiglie vuote contro la facciata di una chiesa, forse quella l’avevamo superata arrampicandoci sui tetti della Galleria del Duomo.
Era pericoloso e lo sapeva. E sapeva che se non ci fosse stato nessuno di noi tre avrebbe fatto finalmente quello che voleva. Un po’ come prima insomma. 
Per quello cercavamo di passarci sempre del tempo, anche a turno. Perché di segni ne aveva già troppi addosso e spesso i tatuaggi andavano a nascondere ricordi bruciati e inzuppati in tutto quello che bevevamo. Che anche i nostri portafogli lo sapevano che era troppo.  Quella sera eravamo solo noi tre. Tra l’altro lei era arrivata da Pavia quella mattina, quindi  per la seconda volta avrei provato l’ebbrezza del suo non saper minimamente guidare  a Milano o forse dovunque. Da sobrio stavolta. E non so bene cosa fosse peggio.

– Ma Caf dove lo recuperiamo?

– Ci raggiunge direttamente là.

– Ahahaha ha paura a venire in macchina con me?

– Jajajajaj no, non credo, ma farebbe bene.

– Ma mica sarà in scooter scusa, si ghiaccia.

– Eh non lo so, mi ha detto che ci beccavamo lì direttamente.

– Speriamo non si addormenti.

Perché Caf era così un po’ narcolettico, e si addormentava ovunque. Una volta stavamo tornando da una serata e a un certo punto non vedo più la sua auto nello specchietto. Pensando si fosse perso torno indietro, lo chiamo, rifaccio quattro volte la stessa strada, lo richiamo e poi lo trovo. Fermo in un parcheggio. Avvolto nel cappotto che, semplicemente, dormiva. Si era fermato per dormire – onesto. E non se n’era andato finché non aveva finito. E, infatti, quella sera si era molto semplicemente addormentato.

– Va beh dai, faremo un foursome estremamente ridotto ahahahah, non che ci manchi qualcosa eh!

Aveva ragione, il foursome eravamo di più noi che loro che erano diventati una banalissima coppia. E pensare che avevo rischiato di perdere anche lei, dietro ai voli impazienti e spazientiti per la Spagna. Camminavamo verso la Santeria, stretti nella nebbia che dal ’92 non è più la stessa.  Non so perché non mi aspettassi di incontrare una famiglia, probabilmente per via dell’ora. Eppure quei genitori, che sembravano veramente contenti, e quel bambino nel piumino veramente giallo avevano attirato la mia attenzione. Il padre faceva indovinelli. Peccato non averli notati prima.

– Cos’è che non trovi mai nello stesso posto?

– Anche se sono sicuro di avercelo messo?

– Sì, esatto, qualcosa che lasci lì, ma poi non ritrovi mai.

– Non lo so!

– Pensaci dai, è semplice!

E imparammo che non eravamo bravi con gli indovinelli.

E imparammo anche a chiedere perdono senza bisogno di scambiarci gli anelli.

4.

– Dai, andiamo da me a bere il bicchiere della staffa.

– Ma Jo, sono stanca.

– Dai, un bicchierino di Coal Ila buono e poi te ne vai a casa a dormire.

– Promesso?

– Giuro!

Le strade di campagna le riportavano alla mente quando girava a Pavia, quando usciva  di nascosto diretta ai parcheggi dell’Esselunga, quando al rientro trovava la luce lasciata accesa e gli occhi del suo gatto nero. La notte era scura. Il piede sull’acceleratore faceva il resto.

Cos’è che non trovi mai nello stesso posto?

Sul cellulare Spotify suonava Pelle degli Afterhours. Sugli occhi l’immagine della Giulietta grigia da seguire.

Cos’è che quando si ricuce non si riduce?

Sul parabrezza l’immagine di una curva che non aveva visto. Sotto il piede il freno.

Nello specchietto retrovisore della Giulietta, la Spark rossa sbanda verso il campo a sinistra.

Sull’asfalto nessuna traccia di freni.

La rotta improvvisamente si inverte. Il pericolo del campo scampato.

Cos’è che serve per girare le viti del mondo?

Sul cellulare Pelle degli Afterhours. Tra le mani il volante scivoloso. Nello specchietto  la virata. Sotto le gomme l’erba. Nei suoi occhi canne e arbusti. Sotto la sua pelle adrenalina. Sui fari schiantarsi di rami e di foglie. Sotto le gomme nulla. Nello specchietto della Giulietta paura. Nella sua mente arrendersi. Sui polpastrelli lo sfiorare freddo della gomma.

Cos’è che non trovi mai nello stesso posto?

Su Spotify Pelle. Nello specchietto il buio.

Tra fango e acqua e notte la carcassa rossa.

(fine)

Parte 1 di 3 – Leggila QUI
Parte 2 di 3– Leggila QUI

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